THIS HEART DOESN’T RUN ON BLOOD… THIS HEART DOESN’T RUN ON LOVE

Nell’autunno del 2004 venni arruolato dal Valentini nella sua squadra di recensori per un blog sul web chiamato appunto “This Heart Doesn’t Run On Blood…This Heart Doesn’t Run On Love” (dal titolo del disco dell’84 degli australiani Scientists), nel quale avrei curato la parte dedicata al metal estremo.

Riporto qui sotto il programmatico editoriale scritto da un Valentini in ottima forma:
E’ ora. La sentite la campana che suona? No, non rintocca a morto. Non ancora. Per queste cose c’è tempo. Meno di quanto crediate, però. Questo è il segnale. Il segnale che stiamo iniziando. Ci proviamo, anche se non è facile, quando vivi in esilio, qui in Main Street. Ci si ritrova al solito bancone, c’è chi beve una birra, chi un Southern Comfort, chi un succo di pesca. Il barista è uno stronzo, ma va bene lo stesso. Anche quando ti ride in faccia e ti dice: “Si vede che stai male… questo è un posto di merda”. Però c’è chi, in quel momento, può alzare lo sguardo, tirare su col naso e dirgli: “Qui ci sto benissimo”. E dal jukebox, all’improvviso, parte “Citadel”.
Benvenuti dove sarete costretti a vedere le vostre budella sul pavimento. Benvenuti nel posto in cui si ama talmente una cosa da desiderare di distruggerla per non farla finire nelle mani sbagliate. Benvenuti dove a parlare di musica è gente che si è fottuta il cervello, e non solo quello, per seguirla. Benvenuti. La consumazione non è obbligatoria. Le palle sì. Questa è una blogzine. Qui si parla di musica, di libri, di concerti. Qui il gibbone può crescere o morire. A lui la scelta.
Ci piacciono punk, garage, sixties, rock, blues, hard rock, stoner, metal, new garage…e tutta la musica fatta con palle, anima e budella.
[“Citadel”, ve lo dico anche se dovreste saperlo, è un classico dei Rolling Stones – n.d.C.]

Assunsi quindi il metallarissimo nomignolo di The Great Lake Wizard, pseudonimo idiota che mi sono scelto io peraltro (come diceva Villaggio nell’episodio di “Io tigro, tu tigri, egli tigra”, quello in cui fa lo scrittore di fantascienza e viene rapito dagli alieni), col quale avevo firmato nel lontano 1996 un paio di articoli semiseri (oltre che dimenticabilissimi) per la fanzine “Shove”, redatta appunto da Mr. Valentini. Il progetto di squadra durò quasi un annetto, nel quale ebbi modo di piazzare sei recensioni di mia scelta del genere di mia competenza più una extra (un cd arrivato a scopo-review su questo blog) per la quale assunsi lo pseudonimo di XevaristoX, in onore del Becca, mio idolo calcistico di fanciullezza. Per queste recensioni decisi di usare uno stile leggermente diverso da quello mio solito, più giornalistico che colloquiale, se mi passate i termini. E ora, come ha fatto Stephen King con le nuove versioni dei volumi della serie “La Torre Nera”, ve le ripresento con qualche piccola variazione qua e là, rispetto a quelle comparse sul web a loro tempo, nell’ordine cronologico con cui apparvero in rete.

 

MAYHEM “De mysteriis dom. Sathanas(1993, Deathlike Silence Productions, LP/CD)
Il fascino malsano che questo disco sprigiona ancora, a più di dieci anni dall’uscita (ormai venti per voi che leggete ora –nota 2013), è indiscutibile! Disco che uscì postumo dopo che il bassista del gruppo uccise il chitarrista/leader, mentre il secondo chitarrista (che non si è mai capito se poi su ‘sto disco ci ha suonato o no! Pare di sì comunque, oltre ad aver composto un buon numero dei riffs presenti) faceva da palo, e con metà delle liriche scritte dal precedente cantante: quel Dead che tenne fede al suo nomignolo suicidandosi, qua rimpiazzato da un ospite d’eccezione, l’ungherese Attila Csihar (che negli 80’s vocalizzava nei black-thrashers “budapestesi” Tormentor e nei primissimi 90’s negli elettronici Plasma Pool). I personaggi summenzionati sono nientepopodimenochè i signori: Varg Vikernes a.k.a. Count Grishnack della one man-band Burzum, qui nei panni di bassista ed omicida; Euronymous, fondatore e leader storico dei Mayhem, alla chitarra e, sfortuna sua, nei panni della vittima. Blackthorn, proveniente dalla cult-band Thorns, come secondo guitarist e palo (si dice a sua insaputa). A chiudere questa line-up maledetta il succitato Attila “flacello di ddio” e il drummer-extraordinaire Hellhammer. La trasformazione dei Mayhem dal gruppo Death/Thrash caciarone dai testi becerissimi che erano negli anni ottanta (vedasi il 12″ “Deathcrush”), nella band guida ed ispiratrice del movimento Black Metal norvegese che tanto fece parlare di sé all’inizio dei 90’s fu qualcosa di decisamente interessante! Nell’88, più o meno, c’era questo gruppaccio di giovinastri sui vent’anni dal look tipicamente 80’s metal-style (chiodo, giubbetti e pantaloni di jeans sfasciati, birre scadenti alla mano, capello lungo e pure lo spettacolare mullet del primo batterista!) che aveva buttato fuori un paio di demo a cavallo fra l’86 e l’87, di cui uno poi ristampato sul 12″ di cui sopra, e che si trovava con metà band da rifondare dopo l’uscita di scena del suddetto mullet-drummer e del cantante del secondo demo (quel Maniac, poi tornato dietro il microfono del gruppo con la riunione del ‘95). Si erano pure ribattezzati “the true Mayhem” per distinguersi dalla miriade di gruppi con lo stesso banalissimo nome che c’era in giro per il mondo: negli U.s.a. c’erano la speed-metal band di Portland, Oregon ed una death/thrash band nel Kentucky, oltre ai thrashcorers newyorkesi (con in formazione Craig Setari, poi con Agnostic Front e Sick Of It All, fra gli altri) che presero il nome di N.Y.C. Mayhem; in Germania c’erano una thrash band a Francoforte e un’altra a Eislingen (dalla quale nasceranno i Toxic Shock); c’era un’altra thrash band in Finlandia, mentre in Ungheria era attiva una formazione black/thrash; il Brasile aveva la sua thrash/death band (che poi cambierà nome in The Mist, band in cui entrerà Jairo T. dopo la sua fuoriuscita dai Sepultura) e pure l’Italia contribuiva con una thrash band di Salerno (che poi, per i troppi omonimi in giro, cambierà nome in Enslaved…sì, altro caso di omonimia con gruppo illustre, ma quando si formarono quelli norvegesi poi infinitamente più famosi, i campani erano già sciolti). Per farla breve, dopo qualche rimpiazzo temporaneo, i due superstiti – lo stalinista Euronymous (chitarra) e Necrobutcher (basso) – trovarono un batterista della madonna (anche se ancora un po’ acerbo all’epoca) subito ribattezzato Hellhammer; dalla vicina Svezia importarono invece il cantante dei Morbid (quelli del grandioso cult-demo “December moon”, che fra l’altro avevano pure due futuri Entombed in formazione), tale Dead, forse l’unico vero misantropo tra i tanti fakes della scena Black, che finì sparandosi una fucilata in testa. Prima però il gruppo compì la svolta, passando dal teronissimo Deathrash di cui sopra al Black Metal, inventando praticamente dal nulla un nuovo modo di fare Metallo Nero (sebbene, rispetto a molte altre Norse bands che seguiranno, lo stile dei Mayhem mantenesse sempre qualche debito nei confronti dei gruppi black-thrash degli 80’s, specie nei primi brani composti dopo la svolta di cui sopra) e sostituendo gli ignorantissimi testi a base di budella, motoseghe e mignotte, con le liriche visionarie di quel mezzo matto di Dead: veri e propri affreschi evocativi a base di nebbie transilvane, lune ossessionanti ed esistenze post-mortem. Da ricordare anche che i nostri (seppur limitatamente ai soli Dead ed Euronymous) iniziarono a fare uso di quello che poi diventerà il classico face-painting Black Metal, su ispirazione, pare, dei grandissimi Sarcofago (black/death band brasileira) degli inizi e anche dell’altrettanto grande King Diamond, nonché dei Kiss (di cui si dice che Euronymous fosse un grande fan). Purtroppo di questa formazione restano solo due pezzi in studio usciti su “Projections of a stained mind”, un Lp-compilation svedese, e l’Lp live “Live in Leipzig” (una specie di bootleg ufficiale dal suono così così uscito per l’etichetta milanese Obscure Plasma, che poi cambierà nome nella più conosciuta Avantgarde), più un buon numero di rehearsals e live immortalati su una serie di dischi bootleg usciti per lo più dopo l’omicidio di Euronymous.
Sepolto Dead e lasciati da Necrobutcher, i nostri tentano un infruttuoso rimpiazzo con tal Occultus (voce e basso), per poi reclutare il Conte come bassista e iniziare come trio (o quartetto, dipende se Blackthorn c’era già o meno) a registrare l’album che annunciavano ormai da anni, su cui poi venne invitato a cantare Attila (che ora fra l’altro è tornato da qualche anno ad essere il cantante dei Mayhem). Terminate le infinite registrazioni successe quel che successe fra Varg ed Euronymous (leggende metropolitane a parte, pare semplicemente che i due avessero iniziato a starsi sui coglioni a vicenda, principalmente per becere questioni di soldi e dintorni) e dopo qualche mese il disco uscì sul mercato (con dei credits menzionanti i soli Euro ed Hellhammer) nel pieno del boom del Norse Black Metal, amplificato da azioni tipo i roghi delle chiese e piacevolezze simili. Il fenomeno meriterebbe un’analisi molto approfondita: un manipolo di mezzi disgraziati crea un discreto caos in una sonnolenta socialdemocrazia nordeuropea nel nome dell’inedita coppia Satana-Odino mischiando satanismo da fumetto, paganesimo spiccio, anti-cristianesimo di facciata, un pizzico di beceraggine neo-nazi, bizzarre interpretazioni della storia norvegese, un po’ di vichinghi che male non fanno, e giocando a chi la sparava più grossa, condendo il tutto con un bel po’ di azioni dimostrative. Fatto sta che, azioni di facciata a parte, quella scena buttò fuori un cospicuo numero di bands eccezionali (cito DarkThrone, Satyricon, Ulver, Emperor, Immortal, Arcturus, Enslaved, gli stessi Burzum e Thorns, ecc.ecc.), ridefinì lo stile Black (musicalmente e attitudinalmente, non che nel secondo caso fosse un bene, ma ci si divertiva parecchio all’epoca a leggere le sparate dei suddetti gruppi, specie di quelli più ironici!) e regalò parecchie ore di ottima musica a tanti metal-maniacs sparsi per il globo terracqueo! Ma veniamo al disco dei Mayhem, se no qua facciamo notte (a parte che quassù ai confini dell’impero sono le 16:50 di una fredda domenica novembrina ed è già buio pesto! Altro che Norvegia!). Otto pezzi, quattro più vecchi (1988/1991) e quattro più nuovi (1992): suono di chitarra gelido e tagliente (ma non il “frigorifero-style” -Fulvio Diverio copyright 2002- dei DarkThrone, questo è più cupo e comunque più curato e “prodotto”, nonché piuttosto originale e personale: una sorta di Euronymous-sound, senza dimenticare che comunque anche il suono dei primordi Throns di Blackthorn era particolarissimo), riffs micidiali (alcuni composti dallo stesso Blackthorn, fra parentesi un altro elemento non troppo a piombo!) e armonizzazioni raggelanti (differenza con molti/troppi gruppi Black: i riffs, quelli veri, che moltissimi non hanno!). Basso di Varg (non date retta alle voci che dicono delle sue parti reincise da Hellhammer per volere della famiglia di Euronymous! Come direbbe Mughini: ma daaaaaaai!) molto presente, cupo e che ritocca qua e là alla grande (differenza n° 2: il basso nel Black spesso è lì solo a far numero). L’infermiere Hellhammer che ogni tanto sparerà anche dei deliri nazisti da far impallidire pure i No Remorse o la buonanima di Ian Stuart (notevole quando dichiarò di essere sempre stato contrario al rogo delle chiese e che avrebbe preferito che i suoi compagni avessero bruciato qualche moschea piena di musulmani!), ma è un batterista devastante, tecnicissimo e precisissimo che tiene dei ritmi inumani per praticamente tutto il disco, doppia cassa inclusa! Infine Attila (a come atrocità, doppia t come terremoto e tragedia, ecc.) con una prestazione vocale strepitosa, originale e particolarissima: che urli, che sussurri, che melodizzi, che canti pulito, che grugnisca, ecc.ecc. mette sul piatto uno stile unico, ancora (per quanto ne so io) ineguagliato in ambito Black. Tutti i pezzi sono strafighi, ma ne menzionerò in particolare due: “Life eternal”, rallentata (secondo me l’ispirazione fu “Enter the eternal fire” dei Bathory, influenza dichiarata dei nostri) per quasi tutto il brano prima di esplodere in un finale velocissimo, e con un testo (leggenda vuole lasciato da Dead accanto al proprio cadavere) emozionale sul senso della vita (no Monty Python relations!) e della morte. E la title-track, molto progressiva e dominata da dei vocalizzi puliti da brivido in latino (!!!), pezzo che mi fa rimpiangere quello che Euronymous avrebbe combinato nei futuri dischi dei Mayhem se quel pistola di Varg non lo avesse ammazzato. Una cosa poi che pochissimi (se non proprio nessuno) hanno notato è che un riff di “Buried by time and dust” è identico ad uno di “Satan’s fall” dei danesi Mercyful Fate (’83): oscurità nordica in simbiosi o scopiazzatura di riffone figo? Il problema dei Mayhem di questo disco è che in pochi ne hanno sottolineato il valore musicale per dare spazio alle vicende extra-musicali, quindi oggi lo sottolineo io, e che cazzo! Trovatelo, ascoltatevelo (o se già l’avete riascoltatevelo) e se non vi rendete conto di quanto dia merda a chiunque nel genere (ricordando sempre che eravamo nei primissimi 90’s), beh, il mondo è pieno di black metal bands schifose su cui potrete riversare la vostra incompetente ammirazione, no? Per i non addentro al genere, purtroppo i Mayhem hanno continuato anche dopo la morte di Euronymous, “grazie” ad Hellhammer che ha riportato in formazione il singer del primissimo ep (Maniac) e il bassista “storico” (Necrobutcher, che nelle prime foto promozionali post-rientro ricordava paurosamente Claudio Bisio nei panni del procuratore Micio!) e ha reclutato alla chitarra tal Blasphemer. Dischi ne han fatti, niente di eccezionale comunque, anzi, il tutto fra squallide storie (vere o presunte) di spaccio di droga, puttane messicane mestruate e matrimoni celebrate in chiese cristiane, ma tutto il fascino malsano della band è andato perso e i Mayhem di adesso sono solo un gruppo come tanti / troppi altri. Il ritorno alla voce di Attila nel 2005 ha riportato la band a livelli decisamente più elevati rispetto a quelli del periodo-Maniac e anche l’album “Ordo ad chao” (2007, unico lavoro inciso sinora con il redivivo Attila) è sicuramente il loro disco migliore dai tempi proprio di “De mysteriis…”, il quale resta comunque su un altro pianeta, questo mi pare ovvio! PS = eventuali inesattezze nel riportare gli avvenimenti ci sono di sicuro, ma citando il Professor Scoglio “evitate critiche ad minchiam”, grazie! (il blog aveva uno spazio per i commenti dei lettori –nota 2013).

 

CRUACHAN “Tuatha na gael” (1995, Nazgul’s Eyrie Prod., CD)
Repubblica d’Irlanda. A parte U2, Pogues (peraltro inglesi di cui solo alcuni di origine irlandese, e di stanza a Londra), Liam Brady, Tony Cascarino, la Guinness, i quadrifogli e il paesaggio favoloso, cosa vi viene in mente? Magari mille altre cose, ma di certo non le due magiche paroline Black e Metal! Tolto il fatto che sicuramente al momento nella verde isola sono matematicamente attivi un bel po’ di gruppi Black (i discretamente famosi Primordial, ad esempio) e di Metal in generale, facciamo un salto indietro all’inizio dei 90’s. Ora, sul momento non mi sovvengono metal-bands irlandesi degli 80’s, mi sto spremendo le meningi, ma zero assoluto (sebbene molti irish o pirlandesi, per dirla alla John King tradotto in italiano, ingrossassero le fila di varie NWOBHM bands -e per il profano sarò buono dicendo che la sigla significa New Wave of British Heavy Metal, l’ondata metallica britannica dei primi 80’s da cui uscirono, per citare i più famosi, Iron Maiden, Def Leppard e Saxon). Certo, negli anni settanta a Dublino nacquero i mitici Thin Lizzy, ma lì siamo in ambito Hard Rock: il compianto Phil Lynott e soci furono sicuramente precursori di un certo sound metallico, ma assolutamente non una metal-band! A questo punto però, per esserne sicuro e non fare qualche prevedibile figurademmerda, mi sono affidato a San Google e ho scoperto che in effetti di nomi conosciuti non ce ne sono mai stati negli 80’s, a meno di non considerare tali bands molto minori quali Blackwych e Trojan e altre apparse sull’Lp-compilation dell’85 “Green Metal: New Irish Heavy Metal”. Oltre a loro, però, nebbia totale, quella della brughiera irlandese, of course! Mi erano venuti in mente, pensando fossero dell’Eire, gli Sweet Savage (NWOBHM band abbastanza famosa e attiva ancora oggi, di cui i Metallica han coverizzato spesso e volentieri il pezzo ‘Killing time’ e che avevano alla chitarra quel Vivian Campbell, poi emigrato in Usa, tanto per non sfatare il mito dell’irlandese che se ne va oltreoceano a cercare fortuna, che molti metallers degli 80’s ricorderanno come axe-man di Ronnie James Dio sui suoi primi dischi solisti), invece loro sono di Belfast, Irlanda Del Nord. Ma torniamo a bomba ai primi 90’s e ai Cruachan, che quando mi ci metto divago come (il defunto –nota 2013) Tosatti a 90° Minuto e spacco le palle uguale! I nostri sono di Dublino e nascono attorno al ’92. Il nome è quello della capitale del vecchio regno irlandese di Connacht, attualmente una delle quattro province dell’Eire, che come noterete ne ha solo qualcuna in meno dell’Italia! Un demo servirà a farli firmare per l’etichetta tedesca Nazgul’s Eyrie, misconosciuta label (stampante solo cd) che dal ’94 all’99 darà spazio a bands Black Metal all’epoca non troppo convenzionali e/o popolari, centrando le uscite il più delle volte (cito questi Cruachan, i cechi Amon Goeth, i finnici Barathrum, i Mortuary Drape di Alessandria, gli olandesi Bifrost, la stampa su cd di uno dei demo degli ora famosissimi Behemoth polacchi, ecc.), ma realizzando anche qualche discreta ciofeca (vedasi i crucchi Dawnfall e Tha-Norr e certe cose della one-man band olandese Countess). A fine millennio scorso l’etichetta cambierà nome in Barbarian Wrath e realizzerà dischi per Countess stesso (migliorato parecchio nel frattempo), Amon (sempre gli Amon Goeth tornati al vecchio nome), Nunslaughter, Morrigan, Sargatanas, Gravewürm, ecc.ecc. più una raccolta dei Grand Belial’s Key, prima di chiudere qualche tempo fa. Il parco-bands della Nazgul’s comunque era migliore. Glisso sulle voci, probabilmente infondate, secondo cui l’etichetta in questione avesse delle “lievissime” simpatie nazi, anche se almeno un paio di bands della sua scuderia mi parvero ai tempi abbastanza ambigue… Comunque sia non dovrebbe essere il caso dei Cruachan, a parte una vistosa croce celtica sul retro-copertina (ma essendo questo “celtic-metal”…! …no?), mossi più che altro dalla passione per la mitologia celtica e probabilmente anche da quell’attaccamento alle tradizioni tipico di un popolo orgoglioso come quello irlandese. Il disco è dedicato “ai primi signori d’Europa”, peraltro! I nostri si presentavano con una formazione a sei in cui si distingueva anche un membro addetto ai soli flauti e pifferi celtici vari, oltre ai due chitarristi che smanettavano anche con mandolini e altri strumenti “corduti” tipici del Folk d’oltremanica e alla tastierista donna (presenza abbastanza frequente nelle bands Black/Death/Gothic/ecc. tastierate). No ragazzi, non so dirvi se era figa o meno perché sul cd non c’è nessuna foto del gruppo (piccolo inciso: fra le tastieriste Black chi si ricorda che gran bella topona era quella dei norvegesi Gehenna dei primi dischi? Aveva un nomignolo piuttosto stupido, Sarcana mi pare… –fine dell’inciso politically correct ed anti-sessista. Nota 2013: sì, Nina detta Sarcana, un nomignolo che oltretutto si presta ad un volgarissimo gioco di parole che non mi sembra il caso di proporvi… ;-) Comunque, rivedendo alcune sue foto del periodo, davvero una ragazza bellissima); fra l’altro i nostri non assumono nessun “nome da battaglia” e al posto di roba tipo, che so, Frozen Demonfucker o Perverted Hellust usano i loro nomi e cognomi reali, in una fiera di O’ qualcosa et similia, tipici da capelli rossi e lentiggini! Il cd, cantato in inglese, ma con una manciata di titoli in gaelico e migliaia di riferimenti mitologici, parte con un intro strumentale che potrebbe tranquillamente appartenere ad un disco dei Pogues (!), per poi lasciar spazio ad una prima traccia dall’incedere perentorio ed incalzante simile a certi pezzi di altri celtic-black metallers, gli ottimi Absu (texani ma vantanti/millantanti origini ed ascendenze irlandesi e addirittura da nobili clan scozzesi!). Da lì in avanti tutto il disco scorre più o meno sui seguenti binari: voce sempre ringhiosa (rarissimamente pulita in qualche stacco lento e d’atmosfera), tempi spesso incalzanti e meno spesso veloci, alternanza fra parti prettamente Black e parti decisamente Folk, che a volte (e sono i momenti migliori) si sovrappongono pure (un esempio per intenderci: piffero su chitarre distorte), le due asce che ogni tanto si lasciano andare a riffs thrasheggianti, tastiere che nei pezzi Black veloci possono ricordare quelle degli Emperor. Registrazione non eccelsa, ma sufficientemente chiara e non caotica. E’ comunque un gruppo irlandese che fa capire di essere irlandese, non, che so, un gruppo italiano che sembra norvegese (e ce n’erano! …e ce ne sono ancora, mi sa!) o uno francese che sembra svedese (anche se solitamente in questi casi siamo nel campo della “scimmiottata” bella e buona!). Rischiando la semi-bestemmia dirò poi che anche la componente prettamente Metal rimanda il più delle volte a nomi british quali i primi My Dying Bride o anche certi Cradle Of Filth. Un discorso un po’ a parte merita il pezzo “Tàin bò cuailgne” (gaelico ovviamente intraducibile qui su due piedi, e non solo qui!), dove l’influenza Black norvegese è molto marcata nella prima parte a manetta, la quale sfocia poi in uno staccone irish-folk su cui da lì a un po’ si innesta un clamoroso riffone puramente Hardcore (!!!!) stile il compianto Giuseppe Codeluppi (se non sapete chi era vi consiglio una visitina al bar degli ultras atalantini indossando la maglia del Brescia), da cui si ritorna al Black veloce iniziale dominato da una notevole influenza Satyricon. Cito anche uno degli altri due strumentali (intro a parte), che è puramente traditional/Pogues-style, anche se (prevedibilmente!) sembrano dei Pogues più “maligni”! Fra l’immaginario lirico doveroso segnalare la figura del mitico eroe irlandese Cùchulainn, di cui anche i succitati Absu e Pogues han cantato le gesta (sebbene i secondi in maniera decisamente ironica! Ma parlando di Pogues non dimentichiamoci la feroce invettiva anti-inglese di “Young Ned of the hill” che si fa perdonare, e con gli interessi, qualsiasi ironia sul suddetto eroe!). Negli anni a venire (post ’95 intendo) nel metallo estremo esploderà un certo trend folkeggiante e saremo poi sommersi da decine e decine di inutili “Folk-Black Metal bands” la cui fastidiosa peculiarità era che la componente Folk (via via reclamizzata come baltica, scandinava, andina, transilvana, germanica, appenninica, brunoalpina -ha ha!- e chi più ne ha più ne metta) suonava sempre uguale (ok che il Folk si assomiglia sempre un po’ tutto, però…eh, ‘nzomma!) e addirittura imbarazzante per quanto artificiosa e trendaiola si capiva che fosse! Mentre invece la componente “celtic” di questi Cruachan, che si dimostrava sentita e personale, li rendeva, quantomeno stando a certi parametri Black, una band “true” o “true-celtic”, và! In definitiva, non un disco epocale, ma una bella prova, a suo tempo originale e particolare, nonché appunto “sentita”: fossi in voi un ascoltino proverei a darglielo! Dopo questo disco i Cruachan fecero un promo-demo nel ’97 e si sciolsero subito dopo, per poi riformarsi un annetto più tardi con una formazione diversa e con uno stile più vicino da un lato all’Heavy Metal classico e dall’altro ad un’impronta Folk ben più marcata e caratterizzata dall’utilizzo di moltissimi strumenti tradizionali. A tutt’oggi, e passando attraverso ulteriori cambi di line-up, hanno realizzato altri cinque albums: quattro per l’etichetta olandese Hammerheart/Karmageddon Media e l’ultimo per l’inglese Candlelight. Inoltre, a chiudere il cerchio, Shane MacGowan (storico cantante dei Pogues) si è unito a loro come guest in un cd-single dello ’01!!!! Ho pure visto una foto della line up di alcuni anni fa (in cui si distingue una bionda vocalist, ora uscita dal gruppo), coi membri abbigliati con imbarazzanti combinazioni tipo kilt e gilet di pelle su petto nudo (no ragazzi, purtroppo non la bionda, vestita pudicamente in
abito bianco)…

 

DESASTER “Hellfire’s dominion” (1998, Merciless, Lp/Cd)
Questo è uno dei pochissimi gruppi “nuovi” (inteso con ciò l’essere venuti fuori suppergiù dal ’95 in avanti) per cui il sottoscritto stravede! Poi però, a dire il vero, i Desaster han sì esordito (a livello di album) con “A touch of medieval darkness” proprio nel 1995, ma la band, nata addirittura nel lontano 1988, ha mosso i primi passi “tangibili” (leggasi demos e attività live) ad inizio anni novanta, quindi “gruppo nuovo” un po’ un paio di balle, tanto per essere fini…! Comunque sia, i nostri vengono da Coblenza, Germania centrale, vicino al Benelux, zona paesaggisticamente pittoresca con la placida Mosella e il più famoso Reno (i due fiumi confluiscono in queste zone) che si snodano fra suggestive colline verdeggianti punteggiate qua e là dalle rovine di antichi manieri medievali (questo passaggio da guida del Touring Club deriva unicamente dal ricordo che ancora serbo di una foto delle zone rurali nei dintorni di Coblenza che avevo sul mio sussidiario delle elementari…). Un paesaggio che deve aver comunque influenzato i Desaster nella loro componente medievaleggiante (che vedremo dopo). Visto che chiaramente il 98% di voi che leggete non conoscerà minimamente questa band, redigo una breve cronistoria del gruppo: partono appunto nell’88 come terzetto (Creator Cassie, voce e basso, Markus Infernal, chitarra, e Alex Arz, batteria) dichiaratamente influenzato, fra gli altri, da Venom e Destruction (dal cui pezzo ‘Total desaster’ han preso il nome), durano lo spazio di un concerto e qualche orrendo rehearsal-tape (un paio di pezzi verranno poi ripescati sul doppio-album celebrativo del decennale), poi si sciolgono per un po’. Nel ’91 tornano in pista col solo Infernal (chitarrista) superstite, a cui si aggiungono Okkulto (voce), Odin (basso) e tale Luggi (batteria). Fra il ’92 e il ‘97 ci saranno due demo (“The fog of Avalon” e “Lost in the ages”), un cambio di batterista (Thorim per Luggi), un 7”-split coi connazionali Ungod (interessante underground Black Metal band bavarese che fece uscire anche un Lp/Cd e un mini-cd, più qualche altro 7”-split prima di scomparire per qualche anno, per poi recentemente ritornare sulle scene), l’album d’esordio (vedi sopra), un nuovo batterista (l’obeso Tormentor), il mini-cd “Stormbringer” e un picture-7”, che portano a questo “Hellfire’s dominion”, a mio avviso il loro miglior lavoro a tutt’oggi! Se sui demo e sul primo album lo stile dei Desaster era un misto fra il vecchio Thrash teutonico (devo proprio farvi dei nomi?!) e le più recenti (all’epoca!) tendenze nordeuropee (soprattutto DarkThrone e le prime cose di Satyricon, Burzum ed Immortal), con netta preponderanza di quest’ultime (senza dimenticare le melodie medievaleggianti tessute dalla chitarra di Infernal, forse il vero “trademark” dei Desaster), con “Stormbringer” si assiste ad una crescita esponenziale dell’influsso “Deutsch Metal” e si va a creare il Desaster-sound definitivo: un Black/Thrash dagli accenni medievali, che non rinnega l’influsso “northern Black” (anzi!), ma lo media con dei riffoni da paura che si rifanno a tutta la tradizione Thrash/Speed crucca e in generale all’immortale metallo degli 80’s! La voce di Okkulto resta tipicamente Black (non però con quegli strilli da vecchia checca isterica a cui ci hanno abituato certe “big bands” del genere!), ma il suono è molto più “vivo” ed elettrico di quello del Black più tipico. La forza della band è senza dubbio Infernal, col suo strepitoso riffing dal feeling old-school, ma dotato di parecchia luce propria. Anche il look del gruppo è una via di mezzo fra Black Metal e 80’s Metal/Thrash (con Okkulto e Odin che adottano il face-painting e gli altri due che optano per un look senza trucco e più da biker-metallers). Ora avete un minimo di quadro d’insieme sui Desaster: chi sta apprezzando continuerà a leggere, gli altri, beh, gli altri…non fatemi essere volgare proprio nella giornata di campionato in cui l’Inter torna a vincere dopo circa un migliaio di pareggi, dai! (Inter-Messina 5-0, campionato 2004/2005 –nota 2013). Ed eccoci quindi ad “Hellfire’s dominion”, che esce verso la fine del ’98 per l’ottima etichetta tedesca Merciless (che ha fatto in pratica solo dischi della madonna! E continua tuttora a produrne). Io ho il vinile (gatefold), ma ovviamante c’è anche il cd. Suono nitido e ben bilanciato, ma nel contempo piuttosto “underground”, che alla fine risulta, come dicevo più sopra, elettrico e vivissimo! Già col primo pezzo si mettono le cose in chiaro: partenza sparata alla DarkThrone con un gran bel riffone di quelli che ti restano in mente, staccone in puro becer-heavy metal style dei dischi anni ottanta da scaffale delle offerte, strofa in tu-pa-tu-pa di thrasharola memoria, e poi si ripete il tutto, con in più una parte lenta dai classici tocchi medieval: insomma, “In the ban of Satan’s sorcery” da sola ha già calato il poker d’assi! Per il resto del disco cito “Expect no release”, un “velatissimo” omaggio ai primi Slayer (diciamo che sulla strofa ci si può cantare tranquillamente quella di ‘Evil has no boundaries’, he he!), “Teutonic steel”, anthemone a tempo medio, “Past…present…forever”, un pezzo Black/Thrash bello veloce dal feeling medievaleggiante davvero unico ed evocativo, e soprattutto la perla dell’album, “Metalized blood”, su cui vale la pena spendere qualche parola in più: trattasi di una sorta di inno metallico ultra-trascinante, in cui su una base Speed Metal le varie strofe sono cantate via via da ugole diverse: da Okkulto si passa a Wannes dei Pentacle (ottima band olandese descrivibile alla lontana come “i Celtic Frost più tecnici”: tanto a voi 98% volgo ignorante non possono interessare, no?), per poi arrivare a Lemmy (beh, chiaramente non quel Lemmy, ma l’omonimo tedesco, che chiaramente ha preso il soprannome da quello del leader dei Motorhead, noto a tre o quattro persone per essere stato il cantante/bassista/a volte pure chitarrista dei Violent Force, violenti thrash-metallers autori di un discreto Lp nell’87) e infine a quel finocchione clamoroso che è il mitico Toto Bergmann, che negli 80’s era il singer (parrebbe, appunto, gay, almeno a sentire i metal-gossips) dei Living Death, speed-metal band germanica con una nutrita discografia alle spalle; la strofa cantata da Toto e il suo urletto introduttivo da checcona impenitente varrebbero da soli l’acquisto o la duplicazione di questo disco!!! Ah, in più i possessori del vinile, come me, si possono godere anche la bonus-track, cioè una buona cover di “Black magic” degli Slayer! A questo album ne sono seguiti altri cinque in studio e uno dal vivo, più il doppio-lp-solovinile per il decennale pieno di inediti e roba nuova, un 10”-split coi succitati Pentacle, due 7”, un ep 12”, una cassetta live, il clamoroso quadruplo-lp-solovinile per il ventennale -!!!-, due cd live split (uno coi veterani giapponesi Sabbat e uno coi blackthrashers Ironfist da Singapore) e un 7”-split ancora coi Sabbat (in cui le due bands si coverizzano a vicenda). Dal 2005, a livello di albums, sono passati alla Metal Blade (etichetta storica del metal mondiale), mentre gli split, i live e gli ep escono per varie etichette più underground. Dal 2001 Okkulto non è più della partita, sostituito degnamente (anche se personalmente ritengo il vecchio singer più personale, più come piace a me -cioè più blackeggiante che deathrasheggiante-, e quindi più…meglio!) da un certo Sataniac (ex cantante/bassista dei Divine Genocide, band death/thrash che fece un paio di demo a fine anni novanta). Tutti questi dischi appena citati sono ottimi lavori di, come lo chiamano proprio i Desaster, Black Metal Tradizionale, ma mancano un po’ della magia e della novità di “Hellfire’s dominion”. Ora il gruppo ha trovato il suo stile e, giustamente, procede su quei binari: i riffs sono sempre grandiosi e i pezzi belli, ma ogni tanto fa capolino qualche “autocitazione”, lo schema dei pezzi è sempre il medesimo e già al primo ascolto sai dove ci sarà lo stacco, la ripartenza, ecc. Non che ciò sia un male, intendiamoci (lungi da me tutte quelle bands tritacazzo dagli schemi compositivi astrusi che ti lasciano in testa solo una gran confusione!), però sull’album qui recensito tutto questo non c’era ancora (e già, non poteva esserci!) e quindi io, dall’alto della mia autorità metallica di Mago del Lago del Nord investo “Hellfire’s dominion” come disco migliore di questi metallazzi würstel, birra & crauti! Spikes….Chains…Bullets….Leather…..Metalized bloooooood !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

 

OUTRAGE “From nightmares and myths…” (1986 Demotape autoprodotto)
Premessa 2013: questa recensione era già apparsa su “Nessuno Schema” # 9 nella rubrica Buried By Time And Dust, l’avevo rispolverata (termine non casuale!) e “riarrangiata” per This Heart…, cosa che farò ancora una volta adesso per “Nessuno Schema” # 10!
Qui bisogna partire dagli Hellhammer: il gruppo pre-Celtic Frost tanto quotato e di moda adesso fra i black-metallers che vogliono crearsi una reputazione di veri alfieri del metallo nero, quanto schifato e denigrato ai suoi tempi (il loro 12” ricevette anche la palma di “peggior disco metal di tutti i tempi” da parte di qualche genio inglese dell’epoca). Quello stile semplice ma potentissimo, marcio ma imponente, che prendeva il meglio dei Venom e del primo Hardcore europeo per creare una miscela esplosiva, era in un certo senso avanti di qualche anno e chiaramente lontano anni luce da quanto girava in ambito Metal a quei tempi (si parla del periodo 82/84 per intenderci). Eppure avrebbe gettato i semi per centinaia di extreme metal bands a venire (e non solo, quanti gruppi Crust, odierni e non, assomigliano agli Hellhammer, quanti!). Comunque, con la prima ondata del revival per tutto quello che fu Black e Death Metal “old school”, poco dopo la metà degli anni ’90 sono saltati fuori dal nulla tali Warhammer, tedeschi e cloni totali degli Hellhammer, dallo stile musicale (particolarmente quello dell’Ep “Apocalyptic raids” dell’84, unico vinile degli HH; esistono anche tre demotapes, peraltro abbastanza inascoltabili, vista la qualità di registrazione tipo segreteria telefonica coreana…) all’aspetto grafico (il logo è identico), non so i testi perchè non li ho letti. I crucchi sostengono di esistere fin dall’86 e magari è anche vero, ormai non mi stupisco più di nulla, ma allora all’epoca cosa facevano? Se lo menavano con qualche schifoso pornazzo tedesco (roba tipo “Oktoberfist”…, vero Prof. Botka?!), ve lo dico io! E questo mentre i misconosciuti connazionali Outrage sfornavano (quando suonare alla Hellhammer era considerato quasi come stuprare un bambino cieco, non adesso che è da fighi farlo…suonare alla HH, intendo!) quattro demos (fra 1985 e 1987) nettamente ispirati alla musica del “martello infernale” svizzero. Io ho solo il terzo, questo “From nightmares…”, che mi aveva doppiato Jan dei belgi Agathocles. Outrage non è che fosse proprio un nome poco sfruttato, in giro per il mondo ci saranno stati almeno altri quindici gruppi recanti lo stesso monicker (fra cui quelli romani, Thrash-Metal band in cui militavano due degli articolisti di “HM!”, Vincenzo Barone alla voce e un Paolo Piccini pre-Growing Concern alla batteria) e nemmeno musicalmente, come avrete già intuito, i nostri brillavano per originalità. Eppure erano capaci di prendere a modello l’unicità dello stile marcissimo ma potente degli Hellhammer, rielaborandolo a modo loro e sfruttando al massimo le proprie capacità musicali non eccelse; ogni tanto esce qualche giro più alla Bathory degli esordi e spesso il modello si sposta dagli HH ai primi Celtic Frost (cosa più che naturale). Insomma, robetta decisamente interessante! Menziono come mio pezzo preferito il manifesto “Black Metal attack”. La differenza fra un gruppo che si ispira (totalmente o quasi) a qualcuno e un gruppo clone è sottile, ma esiste: mettete a confronto Outrage e Warhammer e capirete! Nell’87 uscì il quarto demo “The book of the seven seals”, prima dello scioglimento che catapultò i componenti in quel cimitero immaginario fatto di innumerevoli croci nere senza nome che rappresentano i milioni di “caduti” che han fatto la storia del Metal. Per anni non sono mai riuscito a sapere qualcosa di più su questa band, ne trovai traccia solo nella trade-list di un metal-maniac olandese (che di loro possedeva anche un altro demo e addirittura un nastro live! …’sagerato!). Mi affidai allora a quello che per noi metal-kids degli 80’s era una sorta di Vecchio Testamento, cioè “HM!” (il Nuovo Testamento era chiaramente il “Metal Shock” degli inizi) e precisamente ad un numero dell’agosto 1987 (con un Ronnie James Dio urlante on stage in copertina); nella rubrica Thrashin’ a cura proprio del suddetto Paolo Piccini (e un altro cerchio si chiude!) vengono spese una trentina di righe per recensire questo demo, piuttosto bene peraltro (senza però evidenziare alcuna similarità con gli Hellhammer, Piccini parlava genericamente di un Black Metal più potente che veloce), ma nemmeno qui trovai ulteriori notizie degne di nota, eccezion fatta per i contatti del gruppo, che riporto (ovviamente inutilmente, il tipo avrà cambiato casa dopo più di venticinque anni, ma chissenefrega!): Udo Feierabend, Breslauer Str. 6 A, 7530 Pforzheim (non lontano da Stoccarda, vedo su Google Maps), West Germany (ahh, BDR e DDR, che tempi!). Se qualcuno gli scrive e quello risponde, mi fate sapere se si possono ancora ordinare i primi due demo (più il quarto, beninteso!), le toppe e gli adesivi (come recitava la recensione del Piccini)? ;-) Poi, nel 2004, a sorpresa gli Outrage tornano in pista! A me, che li davo per ultra-scomparsi, suona un po’ come un Matthaus (tedeschi per tedeschi…) che all’improvviso torna a giocare a calcio e si ripresenta nell’Inter (che poi vista l’età media di alcuni giocatori attuali… Nota 2013: purtroppo quest’ultima frase scritta nel 2005 vale anche per la stagione calcistica in corso…)! Ehhh, fosse il mondo del football come quello del metallo… La nuova formazione vede due membri fondatori, il cantante Frank “Voice Of Hell” Pfeiffer e il chitarrista Udo “Bringer Of Doom” Feierabend (vedi sopra), il vecchio batterista e i vecchi bassisti (ne avevano cambiati tre nei primi anni di esistenza) sono spariti dalla circolazione (uno nel vero senso della parola essendo purtroppo defunto nell’88, e fu quello che suonò su “From nightmares…”). Negli anni ai due componenti storici si affiancheranno parecchi bassisti e batteristi e addirittura per qualche anno ci sarà anche un nuovo cantante solista che sostituirà un Frank uscito momentaneamente dal gruppo. Nell’ottobre del 2004 esce un cd autoprodotto dalla band baldanzosamente intitolato “Back for attack”, nel quale in più di sessanta minuti vengono ripresentati vecchi pezzi ri-registrati accanto a nuovi brani. Da quel disco si sviluppa la seconda vita degli Outrage, nella quale escono altri cinque albums, un ep, una cassetta-raccolta e addirittura un dvd con immagini (recenti) di studio, sala prove e concerti (in uno dei quali compare come ospite Volker dei Warhammer, e l’ennesimo cerchio si chiude!). Nelle mie due vecchie recensioni di questo demo degli Outrage avevo sempre chiuso dicendo che nonostante ‘sti kartoffen fossero un bel gruppetto, la sfiga volle che nessuna “celebrità” Black/Death Metal dei 90’s li avesse mai citati come influenza (non sono mai stati nominati nemmeno di striscio!), così che nessun furbastro potesse riuscire a farsi qualche soldino in più ristampandone i vecchi lavori (cosa puntualmente accaduta per bands meno dotate e interessanti degli Outrage, ma con dalla loro qualche santo in paradiso, o meglio demone all’inferno che è più indicato!), così che le speranze che avevo di vedere i demos degli Outrage ristampati su Cd o Lp era pari a quelle che avevo di vedere l’Inter centrare il trittico scudetto-champions league-coppa intercontinentale. Poi però nel 2010 l’Inter questo trittico l’ha incredibilmente centrato e, come per magia, nel 2011 è uscita una cassetta professionalissima intitolata “Go to hell – Demo(n)s 1985/1987”, contenente dieci pezzi estratti dai quattro demos anni ottanta, appunto. Non proprio le ristampe complete che auspicavo, ma già qualcosa (il mezzo miracolo è stato compiuto dalla Metal On Metal Records, etichetta italiana che ha fatto uscire anche l’ultimo album degli Outrage in ordine cronologico, oltre ad aver stampato dischi di gruppi a loro modo storici ed ancora attivi al giorno d’oggi quali gli statunitensi Meliah Rage ed Heretic, più parecchi lavori di bands di formazione più recente). Adesso aspetto che qualcuno faccia uscire le ristampe vere e proprie!

 

V/A – “TEUTONIC INVASION – PART ONE” (1987, Roadrunner Records, Lp)
Mesi fa TheGreatLakeWizard riuscì nell’impresa di farsi assumere presso questa webzine perchè all’esame attitudinale, dietro soffiata di un recensore corrotto, rispose così a due strane domande del presidente della commissione, il potentissimo professore Andrea “The Vicar” Valentini.

THE VICAR: “Le piace l’Heavy Metal tedesco?”
THEGREATLAKEWIZARD: “Io…io…è il grande amore della mia vita, e voglio in questa sede ricordare i grandi maestri Helloween e Kreator, di cui tutti noi non possiamo fare a meno dell’irrinunciabile capolavoro, il ferocissimo esordio “Endless painsssssssssssssss”
T V: “En-d-le-ss PA-IN ! …e chi è Gene Klein S’m’o’ns?”
TGLW: “Ehm…”
T V: “S’m’ns!”
TGLW: “Ehm…non, non sento…”
T V: “S’m’s!!!”
TGLW: “Ah, Simmons! Gene Simmons! E’ il padre dell’Heavy Metal americano, io lo adoro, è come fosse mio padre, sa dottore!”
T V: “Bene giovanotto, lei è dei nostri!”
Il potentissimo professor Valentini era un fanatico cultore dell’Heavy Metal anni ’80 ! Una volta la settimana obbligava recensori e famiglie a terrificanti sedute di ascolto dei classici del Metallo. Per mesi TheGreatLakeWizard ha sentito e risentito: Helloween “Keeper of the seven keys” (due volumi!), l’intera discografia degli Accept (14 dischi!), ma soprattutto il più classico dei classici, “Gates to purgatory” dei pirateschi Running Wild di Rock’n’Rolf Kasparek di cui il professor Valentini possedeva una rarissima copia autografata…!
Pochi giorni fa in redazione:
TGLW: Scusi professore, che mi dà stasera da recensire?
TV: Teutonic Invasion part one, Lp-compilation tedesca !
TGLW: (piccolo sbandamento e accenno di svenimento)
(Nota 2013: spero abbiate riconosciuto in questa introduzione il mio evidente tributo alla storica scena di “Il secondo tragico Fantozzi”, che precede quella classica della corazzata Potemkin/Kotiomkin)
Correva l’anno 1987 e il periodico Metal crucco “Rock Hard” decise di promuovere una compilation di otto bands tedesche, scelte dopo lunga selezione delle camionate di demo giunte in redazione. Fra l’altro giusto in quel periodo anche il mensile nostrano “HM!” fece la stessa cosa e promosse l’Lp “Metal Maniac”, di cui ricordo l’involontariamente esilarante pubblicità: “Il più duro è quello italiano! Metal Maniac, la più kompleta kompilation di metallo italiano mai pubblicata! Raccomandata da HM! e dai Vanadium” (……) dall’oscena copertina metal-futuristica raffigurante un nerboruto robot piuttosto incazzato su uno sfondo stellato… Non che “Teutonic Invasion – part one” avesse una copertina tanto migliore, infatti al posto del nerboruto robot troviamo un nerboruto e lungocrinito guerriero biondo su uno sfondo di monoliti, armato di spada e piuttosto incazzato pure lui… Beceraggine e banalità della front-cover a parte, devo ammettere che l’immagine del barbaro (‘sbabbaro, per dirla con Attila/Abatantuono) pronto all’azione rispecchia piuttosto bene i contenuti del vinile: una colata di Speed-Thrash-Classic Metal tipicamente teutonico e perfetta fotografia di quello che si agitava nelle cantine e nei garages della Crande Cermania dopo il successo mondiale della prima ondata crucca targata anni 80 (Helloween, Warlock, Destruction, Tankard, Sodom, Kreator, ecc. ecc. e potrei continuare per ore con tutti quei nomi “mitici” del metallo teutonico di seconda o anche terza fascia!). Vediamo quindi in dettaglio le bands e i loro pezzi ivi presenti: PARADOX – Pray to the Godz of wrath. Questo è uno dei brani migliori della compilation (evidentemente la pensavano così anche i curatori visto che lo misero in apertura!): intro tastieristico molto atmosferico ed evocativo (sullo stile di quelli che dai primi 90’s in avanti apriranno il 95% degli albums Death e Black Metal) e poi mid-time folgorante dal suono elettrico e vivissimo con un riffone spettacolare, che sfocia in un misto fra il Thrash della Bay Area di San Francisco (non ditemi che devo farvi dei nomi eh?!) e i loro compatrioti Helloween. Voce pulita con qualche acutino qua e là. Ottima registrazione. Facce tipicamente tedesche con capello corto davanti e lungo dietro e baffo d’ordinanza! A seguito di questa apparizione i bavaresi Paradox strapperanno un contratto alla Roadrunner stessa per la quale faranno uscire due buonissimi Lp fra l’87 stesso e l’89 (il secondo era addirittura un concept-album sui Catari), per poi sciogliersi e ripresentarsi sulle scene nel 2000 col solo cantante/chitarrista superstite della formazione originale (più altri tre elementi che cambieranno poi spessissimo), producendo da allora ad oggi (sono tuttora attivi) altri quattro albums che non ho mai sentito, né sinceramente ci tengo a farlo! XANDRIL – Terminal breath. Interessanti! Quintetto di Amburgo capitanato dalla cantante Bettina Paschen che caratterizza il pezzo con la sua voce ringhiosa durante la strofa “thrashona” a manetta e con le aperture melodiche al limite del fuori tempo/tono (pur rimanendo sempre un’ugola gradevolissima) del ritornello, il quale ricorda molto quei gruppi di “pagan-war-black-folk-epic-metal” con la voce femminile che verranno fuori dalle lande dell’ex Unione Sovietica più di dieci anni dopo. Delle chitarre tipicamente epicocrucche e una registrazione non ottimale completano quello che è proprio un bel pezzo! Anche loro visivamente sono una fiera di baffi, mullets e ghigne teutoniche, e la stessa Bettina non era certo la Claudia Schiffer (o la Doro Pesch, per restare in ambito Metal) della situazione… Gli Xandril realizzarono tre demotapes a cavallo di questa apparizione, fra l’86 e l’88, ma non riuscirono mai ad incidere su vinile…un’ingiustizia viste le tonnellate di stercometallo che la Germania ha esportato (e soprattutto esporta tuttora!) nel corso degli anni… La cantante, il bassista e un chitarrista ci riproveranno subito dopo a fine anni ottanta coi Medusa (metal classico), ma anche qui non andarono oltre tre demo nella prima metà dei 90’s. Il batterista ricompare a fine anni novanta coi Crystal Shark (sempre metallo classico) con cui realizzerà tre albums. L’altro chitarrista prima formerà i Menace (progressive-thrash con voce femminile e due albums negli anni novanta), poi transiterà per un breve periodo nei mediamente famosi thrashers Torment e infine nel 2000 suonerà il basso dal vivo per i Gamma Ray (la band di Kai Hansen, ex Helloween). MORGAN LeFAY – Killer without a face. Da non confondere coi quasi omonimi svedesi Morgana LeFay (progressive-power metal band autrice di otto albums fra il 1990 e il 2007). Morgan e Morgana LeFay indicano sempre quella che in italiano è conosciuta come la Fata Morgana, essere di sesso femminile nonostante il doppio nome instilli sospetti di transessualità e/o travestitismo! ;-) Comunque sia, questo gruppo di Düsseldorf presenta un pezzo di Heavy Metal classico, abbastanza carino, ma rovinato da una registrazione piatta e poco potente che vanifica gli apprezzabili sforzi del singer e il gran girare delle due chitarre. Lo stile è crucco, ma non mancano riferimenti allo U.S. Metal dell’epoca, soprattutto a quello più “ignorante” delle desolate lande del Midwest statunitense! La band non andrà oltre la produzione di un paio di demo e di un Ep 12” autoprodotto e i componenti lasceranno le scene con l’avvento dei novanta (lo scorso anno purtroppo due ex membri sono defunti). VIOLENT FORCE – Soulbursting. Si comincia a picchiare sul serio! La band di Lemmy (ovviamente non quel Lemmy! Si tratta di colui che trovate anche nella recensione dei Desaster) e del terremotante batterista Atomic Steif (che ritroveremo poi, fra gli altri, in Living Death e Sodom) demolisce tutto con un brano ultra-Thrash ai confini del nascente Death Metal: tu-pa/tu-pa a manetta, riffs a motosega e una voce bella cattiva! Anche loro presentano almeno un baffuto elemento in formazione. La discografia dei Violent Force si limita a tre demos, al buon Lp “Malevolent assault of tomorrow” che uscirà poco dopo questa compilation e ad un secondo Lp registrato nell’89 ma mai pubblicato ufficialmente. MINOTAUR – Planed head. Dopo un intro coi soliti versacci da suino scannato parte un pezzo decisamente in pieno stile primi Kreator. E se questo per voi è un male cambiate immediatamente pagina web (o fanzine –nota 2013!)! Devastanti! I Minotaur fecero uscire nell’88 l’Lp autoprodotto “Power of darkness” (ristampato poi su cd qualche anno fa dalla politicamente ambigua etichetta, sempre crucca, No Colours) e un paio di 7″ all’inizio dei 90’s. Dopo più di dieci anni di silenzio, pur senza mai sciogliere la band, i nostri ritornano con un album nel 2009 e sono ancora attivi oggidì. CROWS – Final flight. Ricordo questa band di Dortmund (con tre membri passati nelle fila dei più conosciuti concittadini Angel Dust qualche anno prima) perchè fu attiva praticamente per tutti gli anni Ottanta senza mai fare uscire una beata mazza di vinilico (eccetto questo pezzo chiaramente), poi nel ’91 finalmente venne realizzato il primo album (uscito per la Century Media e accompagnato da trionfali interviste sui principali mags specializzati) e subito dopo il gruppo si sciolse! Comunque qua abbiamo un bel pezzo di Speed/Classic Metal più tedesco di un piatto di wurstel & crauti, trascinante e corale, anche se ogni tanto la voce è proprio un po’ troppo sopra le righe! Ritroveremo il cantante di origine polacca Leo Szpigiel con gli Scanner nei novanta e coi Mekong Delta nei duemila, mentre il chitarrista Bernd Kost a metà anni novanta entrerà nei Sodom (coi quali suona tuttora) assieme al batterista Bobby Schottkowski (che suonerà anche nella band di Onkel Tom Angelripper, progetto parallelo del leader dei Sodom), uscito però dal gruppo tre anni fa. WARNYNG – Revelation. Musicalmente non troppo dissimili dai suddetti Crows, presentano un buon pezzo dal ritornello incisivo e da singalong. Quintetto della Bassa Sassonia che fece due demo in quegli anni e sparì per sempre dalla circolazione. POISON – Sphinx. La compilation si è aperta col botto e si chiude col botto! I Poison (ovviamente solo omonimi dei comunque grandi glamsters americani) furono un’altra vittima dell’ingiustizia di cui si è macchiata la scena Metal crucca (ma anche mondiale in genere): possibile che una delle migliori Black/Thrash bands underground di metà anni 80 abbia dovuto accontentarsi di una ristampa su mini-Lp (e nel ’93 poi) di uno dei suoi quattro demotapes per avere in mano un meritatissimo vinile? Possibile sì, visto che così fu… Comunque sia, questo pezzo è un devastante incrocio fra sezioni medio-lente di scuola Hellhammer o primi Celtic Frost e parti veloci secondo i dettami degli Slayer del periodo in cui pure loro si cerchiavano gli occhi di nero! Qualche stacco chitarristico riporta addirittura ai Testament del capolavoro “The legacy”. Voce cattiva e maligna (eh bè, ci mancherebbe!). Per il look nemmeno loro si sottraevano alla “regola-teutonica”: abbondano infatti tagli cortodavantilungodietro e baffetti da sparviero! Ritroveremo poi il chitarrista Uli “Angel of Death” Hildenbrand negli R.U. Dead?, gruppo Death/Doom con alcuni 7” all’attivo nei 90’s (li ricordo spesso nei cataloghi delle distribuzioni, in quello della S.O.A. del Petralia c’erano sempre!). “Teutonic Invasion – part one” è in definitiva un buonissimo album, gradevole e che non annoia, vista la buona fattura di tutti i gruppi presenti (che pisciano comunque in testa a qualsiasi power metal band tedesca attuale, Blind Guardian inclusi!)! Nel 1988 uscì “Teutonic Invasion – part two”,
sempre su Roadrunner e sempre con otto bands, stavolta sei tedesche e due olandesi. Tutti gruppi minori e trascurabilissimi, con un’unica eccezione, i Pestilence, la band Death/Thrash di Enschede (la città del Twente –nota per i calciofili) che negli anni a venire entrerà nell’olimpo del metal estremo (riformatisi qualche anno fa, gli olandesi sono tuttora attivi con i due chitarristi dell’epoca d’oro affiancati a due nuovi membri).

 

V/A – ORIGINATORS OF NORTHERN DARKNESS – A TRIBUTE TO MAYHEM (2001, Avantgarde Records, Cd)
Volenti o nolenti, non si può mettere in discussione quanto proclamato nel titolo di questo tributo alla band norvegese (per le cui gesta, musicali e non, vi rimando alla prima recensione a firma del sottoscritto nell’archivio di questo blog): se infatti proporrei di istituire pene corporali di duecento nerbate minimo a chi asserisce con convinzione che il Black Metal sia nato in Norvegia all’ inizio degli anni novanta, non posso però che concordare col fatto che i Mayhem siano stati proprio coloro i quali hanno dato origine al “buio del Nord”, cioè al suddetto Metallo Nero proveniente dalla terra dei fiordi, e non solo (basti pensare alla vicina Svezia. Il Black finlandese resta invece un discorso a parte). E’ risaputa la notevole influenza esercitata da Euronymous e compagni sul passaggio dal Death Metal-standard a questo nuovo tipo di Black Metal da parte di bands di loro connazionali quali DarkThrone, Emperor (allora nelle vesti di Thou Shalt Suffer), Immortal, Burzum (un giovane Count Grishnack militava nei deathsters Old Funeral), e altri ancora, col morbo Black (chiamiamolo “la seconda ondata”) che si andò rapidamente estendendosi a tutta Europa e oltre (peraltro con risultati spesso ridicoli, man mano che gli anni passavano…ma di questo parleremo magari un’altra volta). Nel 2001 l’etichetta del milanese Avantgarde (ex Obscure Plasma, che nel ’93 fece uscire il live-Lp dei Mayhem “Live in Leipzig”, poi ristampato plurime volte) decise di buttar fuori questo cd, in cui dodici bands dell’area Black/Death mondiale tributavano il loro riconoscimento e/o la loro ammirazione ai Mayhem coverizzandone altrettanti pezzi. Ovviamente la maggior parte dei brani sono quelli del fenomenale “De mysteriis dom Sathanas”, ma non manca qualche pezzo tratto dalle altre (poche) releases del gruppo nordico. Si parte con gli IMMORTAL (vedi sopra) che si cimentano in una “From the dark past” molto fedele all’originale, con Abbath Doom Occulta (ma nel ’01 mi sa che era solamente Abbath!) che imita lo stile vocale di Attila Csihar (l’ungherese responsabile delle grandiose parti vocali sul succitato “De mysteriis…”), non raggiungendone le vette, ma centrando comunque l’obiettivo. Pezzo suonato benone e registrato bene. Ecco, uno dei problemi che si possono incontrare coverizzando i Mayhem (oltre a quello di ricrearne l’atmosfera malsana) è riuscire a riprodurre le parti di batteria di quel mostro di tecnica e velocità che è il buon Jan Axel Blomberg detto Hellhammer; Horgh degli Immortal ci riesce, qualcun altro che vedremo ora…no! Passiamo infatti agli svedesi DARK FUNERAL, uno dei gruppi a mio avviso più sopravvalutati dell’intera scena Black Metal, di cui gradisco solo l’ep d’esordio e il primo album (“The secrets of the black arts”), anche perché poi cambiarono tutta la formazione ad eccezione del chitarrista e iniziarono a fare dischi, per i miei gusti, di merda, nonché a coprirsi di ridicolo quando l’ex death metaller Masse Broberg (che fu anche il primo cantante degli Hypocrisy), meglio noto con l’imbarazzante nomignolo di Emperor Magus Caligula, riuscì quasi a morire dissanguato tagliandosi da solo in una gamba con una spada di scena… Questi miei “favoriti” fanno la cover di “Pagan fears” con un brutto suono e una registrazione così così, specie per la batteria dove la doppia cassa, se c’è, è inudibile. Il pezzo comunque è rifatto male, con uno dei riffs riprodotto in maniera diversa (orrore!), una batteria suonata anche in maniera abbastanza oscena (lontanissima dalla precisione chirurgica del “martello infernale” di cui sopra) e l’atmosfera malsana dei Mayhem completamente assente (contrariamente agli Immortal, che invece han saputo ricrearla). Salvo qualche uscita chitarristica di matrice prettamente svedese (che non c’azzecca una mazza, ma che resta comunque buona) e la voce dell’Emperor Magus Forrest che si mantiene a livelli decenti. Però, altro che “Teach children how to worship Satan” (un loro ep di covers che contiene anche questo pezzo), ai bambini insegniamo magari a non rifare gruppi di cui non si è all’altezza, neh? Meno male che adesso ci sono i VADER! Sinceramente i polacchi non sono al top delle mie preferenze, ma hanno tutta la mia ammirazione e tutto il mio rispetto per essere in giro dalla seconda metà degli anni ’80 (furono colleghi dei Mayhem in quell’epoca storica del metallo estremo underground), per la gran tecnica in loro possesso (sempre però al servizio del pezzo) e per aver comunque fatto dei bei dischi senza mai snaturarsi. Sorprendentemente ci provano con “The freezing moon” (uno dei classicissimi dei Mayhem), quando io mi sarei aspettato qualcosa più in linea col loro stile trituratutto, tipo una “Buried by time and dust”, per intenderci! E invece becchiamoci ‘sta “The freezing moon”! Da ex-coverizzatore del brano in questione con la true Valtellinean Black Metal band dei Deflorator nel periodo 96/97, posso affermare che il pezzo è abbastanza facile da rifare, ma difficilissimo da rendere come atmosfera: i Vader, oltre a suonarlo alla grande (qualcuno aveva dubbi?), ce la fanno e riescono anche a personalizzarlo con vari innesti, tipo degli effettacci sull’arpeggio iniziale (evitabili!), un’armonizzazione simil-Metallica (periodo “Master of puppets”) sul riff a tempo medio che segue, e in generale un’impronta effettivamente Vader! Qui il batterista (lo storico Doc, recentemente defunto peraltro…r.i.p.) non teme certo confronti con Hellhammer (peraltro la parte veloce è rifatta ben più a manetta di quella originale), siamo un po’ a livelli Pelè vs. Maradona! La voce del buon Peter (anche chitarrista ed unico membro della band sopravvissuto dall’86 ad oggi) è profonda, quasi parlata e sussurrata, anche se a volte (vedi break centrale) un po’ sopra le righe, quasi a sembrare un Pete Steele -periodo Type O Negative- de’noantri! Pollice verso per l’assolo di chitarra rifatto in maniera diversa (ok che quello di Euronymous era forse un po’ troppo minimale che per dei tecniconi come i Vader rifarlo uguale suonava quasi come un’offesa, però…non si fa eh!). Torniamo in Norvegia con gli EMPEROR, gruppo che probabilmente senza i Mayhem mai sarebbe nato! Anche loro, come gli Immortal, pagano il tributo con una versione di “Funeral fog” (altro mega-classico) fedele all’originale, ma col tocco delle tipiche tastiere “emperoriane” affiancate alle armonizzazioni di chitarra. Alla voce qui c’è proprio lo stesso Attila Csihar come ospite (!), mentre Trym alla batteria potrebbe fare l’Eusebio nel confronto simil-football di cui sopra! Alla fine del pezzo gli “imperatori” schiaffano qualche secondo dell’arpeggio iniziale di “The freezing moon” con tanto di campana a rintocco in sottofondo. Ancora in Polonia! La terra della defunta Grande Meringa (citando Stefano Benni) è da lustri fucina di violente e sataniche Death/Black Metal bands e fra i nomi più noti ci sono i BEHEMOTH: nati a inizio dei novanta come combo Black Metal, i nostri avevano già coverizzato i Mayhem su un loro demo rifacendo “Deathcrush”. A inizio dei duemila erano virati di molti gradi verso il Death (strano caso di processo al contrario!) e ancora una volta sceglievano un pezzo dei primi Mayhem, quelli pre-svolta Black e ancora dediti al Death/Thrash. Il brano è “Carnage”, originariamente incluso su “Pure fucking armageddon” (primo demo datato ’86), ma riproposto anche sul “Live in Leipzig” e sulla compilation “Projections of a stained mind” (contenente i due pezzi che sono l’unica testimonianza in studio dei Mayhem con Dead). La versione dei polacchi è un pezzo Death sfolgorante e velocissimo con una batteria sparatissima ad opera del mitragliere Inferno; anche la voce del leader Nergal è più sul Death che sul Black. Il finale del brano è un miscuglio della parte centrale strumentale di “Buried by time and dust”, dell’assolo di “The freezing moon” (rifatto sì identico, ma su base ai limiti del Grind!) e di una manciata di secondi del riff portante di “Deathcrush”! Mi sa che sui tombini di Danzica c’è inciso: S.P.Q.P. (Sono Pazzi Questi Polacchi)! Reimbarchiamoci sulla tratta Danzica-Oslo e andiamo a trovare i LIMBONIC ART, duo della terza (!) generazione del Black norvegese che fra il ‘97 e lo ‘02 ha fatto uscire ben cinque albums di Black sinfonico col santino degli Emperor sul comò! (Dopo uno scioglimento durato qualche anno i Limbonic Art sono ritornati sulle scene nel 2006 e sono tuttora attivi. Negli ultimi anni hanno fatto uscire altri due albums sulla scia dei precedenti –nota 2013) Qua i due si lanciano in una versione di uno dei pezzi più progressivi dei “veri” Mayhem: “De mysteriis dom Sathanas”. Sfida stimolante che i nostri vincono alla grande! La voce di Daemon raggiunge quasi i livelli di Attila (anche nelle parti “pulite”) e il pezzo è reso “alla norvegese”, cioè in maniera fedele all’originale. Nessun problema di batterista qua, i nostri usano infatti una batteria elettronica (che può giocare il ruolo della Playstation nel paragone calcistico di cui sopra!). L’abbiamo citata già qualche volta e finalmente eccola qua: “Buried by time and dust”, il pezzo più devastante dei Mayhem è affidato ad una band della seconda ondata “nera” proveniente dalla Norvegia, i KEEP OF KALESSIN, gruppo dedito alle sonorità Black della vecchia scuola connazionale. Anche loro, da buoni “Norse-men”, si attengono fedelmente alla versione originale: il risultato è più che buono anche se non memorabile. Il suono è un po’ caotico, la voce (pare di tale Ghash) decisamente ok. Una cover onesta! Ancora Norvegia con un altro gruppo della “second wave”, quei GORGOROTH, che a metterne assieme tutti i componenti
passati e presenti vien fuori una buona rosa per una squadra di Black Metal da serie A (e da quelle parti sono passati anche “campioni” come Frost dei Satyricon, Samoth degli Emperor, il suicida Grim ex Immortal/Borknagar e Ivar degli Enslaved). Con una formazione senza stars la band del leader Infernus (chitarra) tenta ambiziosamente di rifare “Life eternal”, il pezzo più emozionale dei Mayhem, difficile da reinterpretare in tutti i sensi! E difatti il tentativo fallisce miseramente: la versione presentata è confusionaria, addirittura (reato massimo per dei coverizzatori) qualche parte viene bellamente tagliata (come fa Mediaset coi film comici italiani anni 70/80 nelle programmazioni attuali). La voce di Gaahl è monocorde e quasi inespressiva, specie se confrontata con la superba interpretazione di Attila, e il basso di tale King Ov Hell (sì vabbè…) non esegue tutte quelle uscite grandiose della versione originale ad opera di Count Grishnack (che sarà anche un neo-nazista criminale, ma che come bassista vale cento Necrobutcher -per il profano: attuale bassista dei Mayhem, nonché membro fondatore). Lo scempio è completato dalla parte veloce finale a livelli quasi imbarazzanti nel confronto con l’originale. Insomma, fosse un brano dei Gorgoroth (che peraltro han fatto anche dei buoni dischi nella loro decennale carriera) sarebbe un gran bel pezzo, peccato per loro che sia dei Mayhem e che esista già (in una versione miliardi di volte migliore) su un disco non dei Gorgoroth! Restando su questa band, non mi esimo dal riportare per iscritto il mio commento “politically-scorrect” (non è inglese, lo so) già espresso a voce ad alcuni giovani metallari locali durante un’edizione del SoRock quando, parlando di black metal, venne fuori che il succitato Gaahl aveva fatto “outing” dichiarando la propria omosessualità. Io sprezzante commentai “Sono proprio cambiati i tempi, i blackmetallers di una volta i froci li ammazzavano!”, con riferimento alle vicende di Bard Faust e di Jon Notveidt e ai loro assassinii di omosessuali. [per chiarirci coi meno dotati a livello di neuroni: la mia era ‘na battuta, eh!]. Fra l’altro, sulla scia del vecchio concerto romano dei Gehenna di cui leggerete sotto, non oso pensare a una data capitolina del nostro, nella quale posso solo immaginare commenti tipo: “Aò, ‘a Gorgorotto in culo, datte ‘na mossa e sona!!”… Restiamo nella terra dei fiordi e dei Turbonegro con un altro nome a suo modo storico del panorama Black made in Norway, i CARPATHIAN FOREST. Loro vanno a recuperare l’unico pezzo dei Mayhem apparso sull’inascoltabile primo demo “Pure fucking armegeddon” e mai più riproposto altrove: “Ghoul”. Ne esce un pezzo che può ricordare i Bathory dell’album “The return…” (e qui si parla di storia, fra parentesi!); la registrazione è più che buona e per questo risulta inutile ogni confronto con quella quasi inascoltabile del vecchio demo dei Mayhem! Bravi comunque i “vampiri” nordici con la fissa del sadomaso! Coi francesi SETH entriamo in un territorio sconosciuto al sottoscritto per due motivi: il primo è che conosco la band solo di nome (anche perché, a dirla tutta, il Metallo francese ha su di me lo stesso appeal di un “Bisteccone” Galeazzi nudo e cosparso di miele! E poi, tolte un paio di buone Death Metal bands quali Loudblast e Agressor, i mitici Trust -da queste parti famosi soprattutto per la connessione “Anthraxiana”!- e altre Heavy Metal bands degli 80’s apprezzabili più che altro per l’aspetto “naif” del cantato in lingua madre, tipo Sortilège, Vulcain e Killers, non è che oltralpe rimanga altra trippa per gatti! Forse qualcosina delle black-metal bands delle Légions Noires, volendo, ma anche qui niente di realmente epocale), mentre il secondo è che la scelta della cover cade su “Into thy labyrinth”, pezzo tratto dall’Ep del ’97 “Wolf’s lair abyss”, il primo disco dei Mayhem post-Euronymous che sinceramente non credo di aver ascoltato più di due o tre volte! Non conoscendo quindi bene il brano mi limito a dire che i transalpini si rendono autori di una buona prestazione, suonando bene e con una bella registrazione. Via da baguettes e croissants e torniamocene in Norvegia, dove ci rechiamo a sentire i GEHENNA, band della seconda ondata, che io ricordo più che altro per quella fighissima tastierista (Sarcana, vedi anche nella recensione Cruachan) che suonò per qualche anno con loro (miei conoscenti romani vociferano di un epico concerto capitolino con Satyricon e appunto Gehenna, dove la bella norvegese venne apostrofata nel pre, nel durante e nel post concerto con apprezzamenti vari a sfondo sessuale, di cui il meno volgare era “Ao’, a’ bella figa viè qua che te apro!”…). Senza la ragazza in questione (che pare si fosse poi dedicata alla Techno!) i Gehenna rifanno “Cursed in eternity” sempre “alla norvegese”, cioè fedele all’originale; registrazione non eccelsa, ma pezzo ben suonato. La voce è più che ok, pur non confrontandosi con le varie modulazioni della versione di Attila: Sanrabb vola basso e si tiene sul monocorde uscendone comunque bene. A chiudere la compilation troviamo l’unico gruppo non europeo, i texani ABSU (che comunque vantano/millantano ascendenze scoto-irlandesi) alle prese col classico per eccellenza dei primi Mayhem, ovverossia “Deathcrush” (pezzo coverizzato da molte altre bands nel corso degli anni, vuoi anche per la struttura e i riffs piuttosto semplici, suppongo! Ricordo anche che Hellhammer entrò nel gruppo solo attorno all’88, mentre prima dietro i tamburi sedeva Manheim -nome che a me ha sempre fatto venire in mente la squadra di calcio tedesca del Waldhof Mannheim, fra l’altro!-, non certo un super-drummer anche se nemmeno una pippa; e un altro confronto meno gravoso è quello con la voce di Maniac -peraltro a mio avviso orrenda, sia ai tempi che quando rientrò nel gruppo-, rispetto a quello con mostri sacri quali Attila e Dead), scelto probabilmente come omaggio al metallo estremo degli 80’s con cui i nostri sono cresciuti e che puntualmente citano in ogni intervista con grande passione! Registrata bene e con un suono decisamente potente, questa “Deathcrush” a firma statunitense diventa quasi un pezzo degli stessi Absu, nello stile di quelli del loro terzo album (“The third storm of Chytraul”). E si sa che con gli Absu si va sempre sul sicuro! Alla fine del pezzo, dopo una manciata di secondi, i nostri ripropongono anche “Silvester anfang”, l’intro di “Deathcrush” (sia nella versione demo che in quella su Ep) , che peraltro non era nemmeno suonato dai Mayhem, bensì da Conrad Schnitzler (una figura istituzionale della scena Elettronica tedesca, di cui Euronymous era grande fan, famoso soprattutto per la militanza nei Tangerine Dream e che donò quest’intro ai Mayhem!). Il tamburellante strumentale viene riprodotto pressochè identico e funge anche da outro per l’intero Cd. Cd che, in conclusione, viene fuori proprio come un bel lavoro! E non è solo merito dei pezzi originali, ma anche di quasi tutte le bands che hanno contribuito. Magari la scelta delle stesse non fu proprio azzeccatissima; certo, probabilmente a definire queste dodici contribuirono anche problemi contrattuali, rifiuti, mancata disponibilità ecc., ma, tanto per fare un po’ di discussione stile QuiStudioAVoiStadio (quindi inconcludente e solo per riempire dello spazio!), vediamo quali altri gruppi avrei incluso in un ipotetico secondo cd! Dalla Norvegia, a parte i DarkThrone (che non fanno covers per scelta personale – facevano, visto che nelle ultime discutibili uscite qualcuna ce l’hanno infilata, peraltro covers punk-rock come quella dei Testors o dark-punk come quella di Siouxsie & The Banshees –nota 2013) e gruppi come Satyricon o Hades (gente della seconda ondata su cui l’influenza dei Mayhem è stata solo marginale), non avrei visto male i Thorns di Snorre “Blackthorn” (seconda chitarra su “De mysteriis dom Sathanas”, nonché compositore di alcuni riffs di quel disco) e gli Enslaved (che Euronymous aveva scritturato per la sua etichetta e che in effetti uscirono per la DSP, ma dopo la morte del titolare); invece un Burzum coverizzatore con sole tastierine dal carcere sarebbe stato interessante, ma un po’ offensivo! Non mi sarebbe spiaciuto nemmeno sentire cosa avrebbero tirato fuori Arcturus (con Hellhammer alla batteria, peraltro) ed Ulver, mentre un’eventuale inclusione dei commercialissimi Dimmu Borgir avrebbe classicamente fatto rivoltare Dead ed Euronymous nelle rispettive tombe! Dalla Svezia ci stavano i Marduk (non fra i miei favoriti, anzi, ma da sempre dichiaratamente influenzati dai Mayhem), mentre capisco che nel 2001 i Dissection avevano qualche lievissimo problema penale (leggasi leader in carcere per concorso in omicidio di omosessuale, vedi sopra, leader che poi uscito di prigione dopo qualche anno si suiciderà) e ovviamente non avrei scordato i Merciless (primissima band uscita su DSP). Una versione degli Abruptum (due dischi su DSP per loro) sarebbe stata interessante e, sparandola grossa, anche una di degli eventuali Grotesque riformati per l’occasione. Dal resto del mondo avrei contattato quelle bands ancora attive fra quelle che Euronymous fece uscire per la DSP o aveva in mente di far uscire: penso ai giapponesi Sigh e ai nostrani Monumentum (peraltro proprio la band del boss della Avantgarde), e anche agli ungheresi Tormentor di Attila Csihar, che attorno a fine millennio erano tornati sulle scene (seppure in formazione totalmente rivoluzionata). Un pensierino anche ad altri italiani, i Necrodeath (amici dei Mayhem negli 80’s), l’avrei fatto, e non avrei tralasciato gente da fine 80’s/primi 90’s tipo i greci Rotting Christ, gli svizzeri Samael, gli australiani Sadistik Exekution e
gli altri giapponesi Sabbat, arrivando poi addirittura al punto di implorare i miei idoli cechi Master’s Hammer (all’epoca sciolti) di riformarsi per l’occasione! Insomma, saltava fuori un secondo cd mica male, dai!

 

SUPERCANIFRADICIADESPIAREDOSI “Mondo cane” (2004, Superper / Gattofono Records, Cd )
recensione di XevaristoX (fedele scudiero di TheGreatLakeWizard)
Mai il Grande Mago assocerebbe il suo nome a qualcosa che non sia decisamente ed indiscutibilmente Metal, quindi l’incombenza oggi tocca a me, scudiero ed opinionista principe di corte. Inviatoci da un personaggio a suo modo storico della scena Hardcore trentina, al secolo Carlo Andreis, quello che ho fra le mani è un cd dall’arzigogolata custodia tutta bianconera (coloraccio…) in carta rigida (senza quindi l’involucro in plastica) e con un sistema di apertura/chiusura dal livello di difficoltà stile Cubo Magico di Rubik (sto scherzando, detto sistema è in realtà semplice e duraturo…aggettivo non fuori posto, se avete presente certi cd dalla confezione “estrosa” che alla terza volta non si apre/chiude più decentemente, converrete con me!)! Quella che dovrebbe essere la front-cover presenta però solo la dicitura Mondo Cane, e per un momento ho pensato dapprima di essere di fronte a dei quasi omonimi dei Mondocane (progetto Thrash-Core di fine anni ’80, che vedeva coinvolti membri di Necrodeath e Schizo, con un unico Lp all’attivo), poi al grido di battaglia di un Giorgio Faletti pre-scrittore horror/thriller nei panni di Vito Catozzo (però lì era “Mondocano!!!”…che poi “tanto vince sempre Adriano!”, no? Purtroppo Celentano e non il centravanti nerazzurro brasiliano…chiedo scusa per questo osceno festival di rime!). E invece quello è solamente il titolo del disco…. Il nome della band è quello impronunciabile e difficile pure da scrivere (per cui non lo riscrivo!) che vedete sopra. Ecco, se qui al castello avessimo uno scanner vedreste anche la copertina… Visto lo studio bolzanino in cui i nostri han registrato, azzardo una provenienza altoatesina, comunque che siano del Trentino-AltoAdige questo non ce lo leva nessuno! Non so se siano veterani o giovincelli alle prime esperienze, ma posso dire che per suonare bene, suonano bene davvero! Quello che mi è difficile da spiegare è il genere proposto: diciamo che ‘sti Supercani… sono il classico miscuglio di mille e più influenze partendo da una base, faccio un altro azzardo, Punk/Hardcore/Noise. Nei sedici pezzi proposti fanno quindi capolino via via riffs metal, parti rallentate e sofferte al limite del lisergico (tanto per riempirmi la bocca con un termine ridondante!), addirittura qualcosina di jazzato; basso sempre molto presente e sopra le righe, voce, diciamo così, pulita e seconde voci a volontà; in più (enorme punto a favore) una grossa dinamicità dei pezzi. Paragoni: qualcosina può ricordare i pezzi meno hardcore dei Lomas (geniale formazione modenese, in un certo senso nata dalle ceneri degli altrettanto geniali Paolino Paperino Band), mentre un paio di brani più rallentati/sofferti sembrano una presa per il culo degli anconetani Rivolta Dell’Odio (una band di, diciamo così, Dark-Core attiva a metà degli eighties), dico presa per il culo visti i testi non certo oscuro-intimisti! Il secondo pezzo addirittura presenta notevolissime somiglianze con quanto proposto dai valtellinesi Eternit nell’ultimo periodo pre-scioglimento, con quel basso al limite del riff da cartone animato! In generale butto là anche qualche influenza a casaccio di quel Post-Core dei primordi, soprattutto tedesco, che a inizio anni ’90 mutò un po’ le carte in tavola sullo scacchiere Hardcore mondiale. Dicevamo dei testi: titoli come “Gay Pradi”, “Il gattofono”, “Assatanatismo” e, tiratina d’orecchie ai nostri, l’ennesima riproposizione dello sfruttatissimo “Onan il barbaro” (fra l’altro Onan è il personaggio ‘storico’ più sfigato di tutti i tempi: era un gran chiavatore, ma secoli dopo lo ricordano tutti come il simbolo dei segaioli!), non possono appunto far pensare a quelli che comunemente vengono chiamati “testi impegnati”! Diciamo che regna un certo nonsense che riuscirebbe quasi a rendere invidiosi anche il duo Cochi & Renato d’epoca! In conclusione è un buon cd, suonato bene, prodotto bene, dalla durata soddisfacente (43 minuti) e di gradevolissimo ascolto. C’è pure un adesivo (parodia del logo Agip) in omaggio. Contattate (credo siano ancora attivi –nota 2013): supercanifradici@yahoo.it