“Sono soddisfatto? No, non sono mai soddisfatto, ma per carattere come ben sai,
non perché quello che ho fatto non sia stato fatto bene o sinceramente, anzi, bene non sempre, sinceramente di sicuro.
Non sono soddisfatto di aver devoluto una grossa parte di me ad un ideale che poi non era tale,
in cui la gente non è né più né meno piena di merda di quanto non lo sia fuori dal circuito”.
(Paolo Petralia – S.O.A. Records, Colonna Infame Skinhead, Comrades, Vegan Riot)
Durante gli anni dedicati all’interminabile assemblaggio di questo numero ho finalmente e tristemente sperimentato quello che devono sperimentare i gruppi quando arrivano oltre il, diciamo, quarto (massimo il quinto) album: la classica crisi di ispirazione, il (probabilmente) capire che quello che stanno componendo non potrà mai essere ai livelli del passato e per quanti sforzi possano fare riusciranno al massimo ad avvicinarvisi, ma a distanze piuttosto consistenti! Dai, vuoi che fior di bands come Manowar, Turbonegro o NoFx (cito volutamente queste tre bands, una metal, una rock/punk ed una hardcore, tacciate da ogni parte di immobilismo musicale, che io però chiamo anche coerenza, quella che vorrei avere io nel mio approccio alla fanza), non si rendano conto di suonare oggidì come una band copia appena appena discreta dei loro gruppi? Ecco, nelle prime cose buttate giù per questo numero 10 (altro che Maradona…), mi sono reso conto di ambo le cose: il passato di questa ‘zine non sarà (prevedibilmente e, consentitemi, ovviamente: il tempo passa e ha il suo peso) mai più eguagliato e quanto scrivo assomiglia in maniera preoccupante a tante / troppe cose già scritte da me (ho anche la tendenza a ripetere certe frasi e concetti già scritte/espressi in passato, un po’ come faceva il compianto Giorgio Bocca!), solo è probabilmente peggio! Mi sento un po’ come il Joey DeMaio o l’Happy Tom o il Fat Mike del panorama fanzinaro italico, insomma! E tanto per allungare un po’ la minestra faccio un piccolo inciso: io questa sensazione ho dovuto sperimentarla con la fanzine, cioè il mio progetto più longevo, coi vari gruppi “principali” in cui ho suonato ciò non mi è stato possibile, avendo avuto (quasi) tutti un destino crudelmente simile, quello dello scioglimento ad un passo dalla registrazione del secondo lavoro, quello che matematicamente avrebbe contenuto pezzi migliori rispetto a quelli acerbi e in malarnese dell’ “opera prima”…
Il mio primo gruppo furono i Marones (novembre 1990 / agosto 1992), di cui i miei più fedeli lettori e lettrici ricorderanno la storia su ‘Nessuno Schema’ # 8; per gli altri/e dirò che si trattava di un tentativo di suonare una specie di Punk d’ispirazione Clashiana, e in generale ’77 inglese, da parte di un’accozzaglia di ragazzini che andavano dall’incapace (io su tutti! La prima volta che mi sedetti dietro una batteria fu la prima prova del gruppo) al discreto ma ancora acerbo: ricordo ancora con raccapriccio delle martoriate e zoppicanti versioni di pezzi tipo “I fought the law” o “Career opprtunities” (entrambe dei Clash, anche se la prima era a sua volta una cover non so più di chi…no, non lo cerco su wikipedia per poi far finta di saperlo). A parte qualche oscenità registrata col walkman in sala prove e un simil-demo mai uscito ufficialmente (inciso sempre in sala prove e con mezzi di fortuna che al confronto i gruppi, che so, colombiani di trent’anni fa registravano con un equipaggiamento deluxe!), fortunatamente non esiste nessuna testimonianza di questa “pioneristica” (per l’Alto Lario) band.
Nel frattempo ero entrato negli Skunk (marzo 1992 / gennaio 1994, quando venni buttato fuori), quintetto bassovaltellinese (capitanato dal cantante Inox, una sorta di Billy Idol ricciolino ed occhialuto) Metal-Core, non nel senso di quella merda che va adesso e che viene definita così (cioè gente che ha scoperto “Slaughter of the soul” degli At The Gates dopo anni dalla sua uscita e crede di fare chissachè mischiando quel suono e quei riffs alla new school hardcore più becera…), ma nel senso di un incrocio fra Raw Power e Bloody Riot da un lato e Motorhead, Tank e Venom dall’altra, senza tralasciare dei tocchi Maideniani, ovviamente alla “vorrei ma non posso”, il tutto con cantato in italiano con voce roca e testi non certo epocali spazianti dalla “rabbia hardcore” al “becerume metal”! Dopo vari cambi del duo chitarristico (ricordo che li cambiammo tre volte, praticamente sempre in coppia, e all’inizio avevamo anche una ragazza alla solista), con un discreto repertorio (nel senso di numero di pezzi) e un vago affiatamento dovuto ad una buona dose di concerti (di cui la metà nello stesso posto, la discoteca Meeting di Domaso, Alto Lario…), eravamo lì lì per registrare qualcosa di “serio” (che andasse al di là della pletora di cassettacce che praticamente registravamo ad ogni prova): solo che uno dei due chitarristi del momento (Alex, col quale diedi allora inizio ad un sodalizio ancora in atto oggidì e quindi ventennale) se ne andò e io, come anticipato sopra, venni buttato fuori; gli Skunk andarono avanti ancora qualche mese in quattro con un altro batterista, ma poi si sciolsero senza lasciare nessuna traccia “ufficiale” ai posteri.
Marzo 1994: nascono i Pubertas Morbegno (marzo 1994 appunto / agosto 1995), la prima Ska-Core band italiana coi fiati (dopo i Search di Ravenna che però erano più sul Funky/Crossover e quindi se qualcuno a me finora sconosciuto non salta fuori a reclamare il titolo adesso, io continuerò a vantarmene!), che in realtà nei primi due o tre mesi di vita era un normalissimo quartetto Hardcore, ma che poi inserì via via un sassofonista, un clarinettista (sapeva suonare solo quello…) e un tastierista, arrivando quindi ad una line-up a sette (cosa che rinfocolava il mio sogno di bimbetto di dieci anni che fantasticava di far parte un giorno di una band come la E Street Band di Bruce Springsteen). Il nome fu un’idea dell’Alex e storpiava quello di una squadra di calcio locale esistente all’epoca, la Libertas Morbegno. Il logo lo ideai io, uno scudo crociato barrato, parodiando il cerchio con la croce barrata dei Bad Religion. L’idea di fare Ska-Core venne a me e in seconda battuta all’Alex, anche se la nostra conoscenza di detto genere era all’epoca decisamente scarsa: avevamo i dischi degli Operation Ivy (che mi aveva duplicato il Pomini) e ci piacevano quei due o tre pezzi in quello stile che avevano fatto i Paolino Paperino Band, quindi giocoforza le prime creazioni del gruppo (tipo il nostro “classico” ‘La ragazzina della I A’) non avevano poi tutte ‘ste gran fonti di ispirazione e alla fine uscirono anche abbastanza personali. Agli inizi, quando eravamo ancora un quartetto, ci definivamo una “ska-core/beach punk band”, viste le influenze degli australiani The Hard-Ons (il cui nome è traducibile con Le Erezioni…) e dei californiani Descendents, quelli dello storico album “Milo goes to college”. Un disco che ci piaceva molto e che ebbe pure lui un minimo di influenza sui Pubertas degli albori fu il bel “Fear of a punk planet” di un’altra band californiana, i Vandals. Che poi queste influenze si riscontrassero effettivamente nella nostra musica non saprei dirlo, più che altro ci sarebbe piaciuto avvicinarci a quei grupponi lì, diciamo! Quando arrivo il Bonello, le parti dei fiati del suddetto (che al momento della composizione erano la parte del fiato, visto che c’era solo un sax), più che da gruppi Ska o Ska-Core erano decisamente più influenzate da quelle dei Mano Negra, quelli di fine anni ottanta, ben prima che Manu Chao diventasse un’icona di quella sinistra cannaiola che personalmente spedirei indietro nel tempo, col loro look ed atteggiamento, nell’Albania del buon Hohxa! Si parla del poliedrico Bonello, quello della Musica da Cucina dei giorni nostri, quello lì, che all’epoca suonava anche la batteria nei Caven. L’inserimento di MicroRoby al clarinetto fu un tocco un po’ naìf, nel senso che lui, oltre a saper suonare solo quello strumento, in pratica doppiava le parti del sax, però potevamo vantarci di avere una sezione-fiati, e che cazzo! ;-) La quale venne successivamente influenzata anche da quella dei torinesi Persiana Jones del trascinantissimo disco dal vivo “Show”. Quando poi entrò il Màino alle tastiere per me fu il top, sia per l’indubbio talento del nostro, sia perché personalmente ho sempre avuto una passione per i suoni tastieristici (credo sia l’unico minuscolo gene a sfondo musicale che può avermi trasmesso il mio illustre e talentuoso prozio pianista!). Gli altri due gruppi Ska-Core di grido li scoprimmo man mano che il gruppo progrediva (parola grossa…): i Mighty Mighty Bosstones me li prestò Marione su cassetta nell’estate del ‘94, il mitologico “Devils night out” che misi sull’autoradio di rientro da Sondrio in un pomeriggio assolato, eravamo io e la Delfina, e mi ricordo lei che non riusciva a star ferma sulle note della miscela ultratrascinante dei Potentissimi Bostoniani. I Voodoo Glow Skulls invece li comprai io dalla Blu Bus nel settembre dello stesso ’94 (era il loro esordio “Who is, this is?”) e il loro stile molto veloce nei pezzi skaeggianti influenzerà parecchio la parte Ska del nostro pezzo ‘La tazza’ (ultimissimo brano mai composto dai Pubertas e decisamente il migliore: intro Heavy Metal classico e becero, parte Ska a palla alla Voodoo Glow Skulls appunto, ritornello corale al limite dell’Oi! e parte centrale con staccone di tastiere in pieno stile musica classica -il Màino era già allora un musicista professionista- e parte mid-time di Symphonic Metal de noantri, ma un anno prima che i Therion facessero uscire l’avanguardistico “Theli”, tanto per…! Matematicamente di questo pezzo, suonato live tre o quattro volte, non esiste nessuna registrazione…). Nel periodo finale del gruppo eravamo in effetti tentati da questi esperimenti, ricordo ad esempio l’abbozzo di un pezzo Black/Ska con un primo giro black metal con sotto il classico blast-beat e le tastiere simil-Emperor che sfociava in uno Ska bello quadrato. E invece saremo sempre ricordati per quel pugno di brani che eravamo riusciti ad incidere: quattro su una specie di demo (in realtà un promo da dare a locali e centri sociali per poterci suonare) e quattro (ma solo uno inedito rispetto al demo) su una cassetta live: la già citata ‘La ragazzina…’, ‘Oratorius’, ‘Il carabiniere stitico’, ‘Visione del mondo nella fase pre-puberale’ (un titolo dell’Alex per un pezzo che il resto del gruppo chiamava più prosaicamente ‘La merda’) e ‘Giorni felici’ (un semi-malinconico testo del sottoscritto sul grande amore dei miei diciott’anni, che il resto del gruppo chiamava più prosaicamente ‘Happy gays’, per via della citazione finale della sigla del telefilm “Happy days”). E purtroppo mancheranno per sempre all’appello i miei due pezzi preferiti, la succitata ‘La tazza’ ed ‘Heavy Metal kids’, quest’ultima uno Ska allegrotto con una trascinante parte di fiati e con un ritornello più metal che hardcore: testo glorificante i giovani metallari e brano zeppo di citazioni heavy metal, tipo i riffs di ‘Breaking the law’ dei Judas Priest all’inizio, ‘Iron Maiden’ dell’omonimo gruppo e ‘Raining blood’ degli Slayer a metà pezzo, e il ritornellone di ‘Empty Tankard’ dei Tankard per il gran finale corale. A questo pezzo è legato il ricordo di un concerto nelle valli del porlezzese, per la precisione a Corrido, un paesino montano dove si trovava un locale in cui si tenevano serate dal vivo e nel quale avevamo già suonato una volta un paio di mesi prima. Rammento che era un sabato primaverile del ’95, che, per usare un eufemismo, più di mezzo gruppo si trovava in un’altra dimensione e che il pubblico (abbastanza folto, suonavamo assieme a due metal-rock bands della zona) era composto per il 90% da metallari nemmeno giovanissimi il cui look risentiva parecchio dell’influenza elvetico-teutonica, vista probabilmente la vicinanza geografica con la Svizzera distante solo cinque minuti di macchina, esplicitata dallo sfoggio di mullets e baffetti da sparviero. “Heavy Metal kids” era a metà scaletta e fino a quel momento il pubblico aveva seguito questi sette ragazzotti male assortiti sul palco con un atteggiamento a metà fra l’indifferente e il curioso, muovendo a volte la testa in un accenno di headbanging in qualche rarissimo frangente. Tutte cose che io, da dietro la solita batteria da quarto mondo, stavo osservando con una certa attenzione, mista alla preoccupazione indotta da alcune sottili battutine ironiche dette al microfono dal Daddy e dall’Alex e che buona parte del pubblico non aveva preso per tali. Comunque, partiamo col pezzo, introdotto dal Daddy con una cosa tipo “questo è per i metal-kids presenti, cioè nessuno vista l’età media del pubblico!”, ulteriore battuta poco apprezzata. All’inizio facevamo, come detto sopra, il riff di ‘Breaking the law’, preso dalla parte centrale del pezzo dei Judas Priest, quello con gli stop di batteria, che ci consentiva quindi di suonare quel memorabile e tamarrissimo riff per parecchie volte. Subito balza sul palco un tipo sulla quarantina (ma poteva anche avere venticinque anni), giubbetto di jeans senza maniche, maglietta bianca, jeans aderenti, stivaletti, capelli corti, anzi molto stempiato e quasi pelato: in pratica il Rob Halford (etero) del porlezzese! Pronto ad esibirsi nel pezzo del suo omologo inglese. Il tipo (che fu cantante, peraltro molto in gamba, di alcune metal bands del posto) si piazza al microfono dell’Alex (quello per i cori) ed inizia un headbanging convinto, poi, quando nel pezzo originale dovrebbe entrare la voce, noi invece iniziavamo il nostro pezzo. Memorabile la scena del metal-singer che apre la bocca per cantare, viene investito da una cascata di note sax/clarinetto/tastiere, si gira verso la band, ci dice ‘ma andate affanculo!” e scende dal palco. Ci piaceva in effetti suonare parti di noti pezzi Heavy Metal prima (o all’interno) dei nostri brani, un po’ per ridere e un po’ perché a noi il metallo piaceva veramente da impazzire e non ce ne vergognavamo di certo, anzi! In sala prove provammo qualche volta l’inizio di “Moonchild” degli Iron Maiden, sfruttando anche il fatto di avere il tastierista, e quello di “Revelations” degli stessi Irons, anche se non li proponemmo mai dal vivo, a parte forse una volta in cui ci lanciammo in una terrificante esecuzione ubriaca della seconda canzone maideniana… Fra i nostri altri brani avevamo anche “Surf” pezzo il cui main-riff venne “scritto” da me martoriando il basso cercando di tirar fuori un pezzo degli Hard-Ons senza riuscirci, ma componendo quindi un giro reminiscente di certo beach-core, da lì il working-title rimasto poi tale per sempre vista la nostra pigrizia riguardo al creargliene uno definitivo (al netto di un testo assolutamente imbarazzante e abbastanza diverso dagli altri, scritto a sei mani una sera in macchina, io-Alex-Daddy. Volgarità ammantata di idiozia allo stato brado. Vi basti il solo incipit: Sono sceso giù alla spiaggia per vedere tante fighe, col panino alla ‘formaggia’ e col costumino a righe, ma di figa ce n’è un mazzo e fin già dalla mattina io mi sono rotto il cazzo di menarmelo in cabina. Immaginatevi il resto…)! I Pubertas avrebbero dovuto incidere un 7” (che sarebbe stato un gran bel disco, fidatevi!), ma ovviamente ci sciogliemmo prima a causa di qualche problema interno difficilmente superabile da un pugno di ragazzotti fra i 18 e i 23 anni… Un paio d’anni dopo lo scioglimento ricevemmo una lettera (che ho ancora a casa) da parte della Asian Man Records (etichetta ska-punk californiana ora piuttosto nota) che era interessata a sentire del nostro materiale e a cui ovviamente fui costretto a rispondere che la band non c’era più e che il materiale inciso disponibile non era sicuramente del livello richiesto (si parla di una label che ha lavorato/lavorerà con bands tipo Less Than Jake e Alkaline Trio e pure con Queers e Riverdales). Ai posteri rimarranno infatti solo le due cassette di cui sopra, a noi (e a chi c’era) il ricordo di una ventina di concerti per lo più in stile Sid Vicious solista e/o Johnny Thunders… Sì, perché i concerti dei Pubertas erano in effetti decisamente lontani dall’allegria controllata del tipico gruppo ska-core ed erano permeati da una certa disperazione hardcore-alcoolica-di provincia (liti fra i componenti anche sul palco, liti col pubblico, ecc.ecc.ecc.). Adesso qui da noi c’è una ska-punk band che va per la maggiore, i Gnukeig (ci suona il bassista dei miei Gradinata Nord), non li ho mai visti dal vivo, ma pare attirino folle oceaniche per la zona, stante anche un atteggiamento sul palco (fonte un Bassman poco impressionato) allegro e positivo, cosa che di sicuro ha il suo peso nell’attrarre gente. Ecco, i Pubertas non sarebbero mai potuti essere un gruppo del genere, troppo autodistruttivi, troppo da “vedi quelli? se non studi diventi così”, troppo ‘bored (post)teenagers’, e poi alla fine eravamo un gruppo hardcore che faceva anche ska, e sotto la patina dei testi divertenti (spero lo fossero almeno, al netto delle varie volgarità e parolacce contenutevi), quello succitato escluso, trovavi le incazzature, il malessere e la noia che tanto hardcore hanno prodotto… Magari eravamo anche delle brave persone, ma non certo dei bravi ragazzi, quello no…quasi tutti ubriaconi, qualcuno un po’ tossico, tutti (Bonello escluso) blasfemi, tutti (Bonello incluso) erotomani, tutti decisamente idioti! In un live a Tremezzo (sponda ovest del Lago di Como, zona centrolago), organizzato dagli storici Potage, il nostro ubriachissimo cantante si rese protagonista di un tentativo di aiuto ai soccorritori del 118 di Como che erano intervenuti con l’elicottero per recuperare un uomo (dopo un presunto tentativo di suicidio nelle acque del lago); era un pomeriggio agostano e ricordo che seduto in spiaggia (dove ci eravamo piazzati in attesa di suonare) osservai da lontano questo ragazzino dai capelli lunghi, alto un metro e un tubetto di burro-cacao (era per non dire l’abusato un metro e un cazzo…), vestito con una maglietta nera senza maniche, jeans tagliati a metà coscia ed anfibi ai piedi, avvicinarsi pericolosamente in stato confusionale alla zona dove stava riverso l’uomo, ricevendo direttamente in nuca uno dei soccorritori che si era calato dall’elicottero. Il pietoso intervento dell’Alex, che paternamente portò via il Daddy, pose fine a questo fuori-programma. In un’ altra occasione, sempre sul lago (stavolta live in spiaggia, d’altra parte non volevamo essere una beach-punk band?), prima del concerto (su mia idea…) acquistammo un giornale porno in un’edicola gestita da un laido vecchietto, col fine di regalarlo a chi sarebbe venuto sottopalco durante la nostra esibizione (un’operazione di “marketing”, converrete). Primi tre pezzi con davanti il deserto del Gobi, poi quando il Daddy estrasse il magazine e spiegò la faccenda, ecco un gruppo di scalmanati farsi sotto…! Ricordo poi un episodio alla Jackass ante-litteram in cui il sottoscritto al volante della sua Fiesta furgonata, in veste di pilota di rally e col Daddy come co-pilota, trascinò lungamente nella neve un Roby completamente ubriaco attaccato alla maniglia del passeggero fin quando il clarinettista non rovinò a bordo strada rompendosi un braccio…e questo sulla via di un concerto in Valsassina nel quale il Roby suonò comunque, la frattura la “scoprì” il giorno dopo… Ci muovevamo in effetti quasi sempre con le macchine dei due più vecchi, cioè la mia Fiesta e la Uno dell’Alex. Su quest’ultima trovavano posto il conducente e altri quattro membri del gruppo, più tutto quello che ci stava. Sulla mia, che era furgonata, salivamo io e il Daddy, piazzando dietro quasi tutta la strumentazione. Ricordo che quando andavamo fuori zona (e non è che andassimo chissà dove, però suonavamo spesso in zone decisamente fuori mano, montane o lacustri, per cui il viaggio non era mai corto) sull’autoradio ascoltavamo solo ed esclusivamente una cassetta con le hits di Cochi & Renato, spesso singalongandoci sopra a nostra volta…questo all’andata, ovviamente, al ritorno il mio passeggero dormiva e la radio rimaneva spenta. Come detto sopra non mancavano episodi di botte sfiorate fra di noi (generalmente a seguito di litigi alcoolici sul palco o in sala prove), mai andate più in là di qualche spintone sempre grazie all’intervento del resto del gruppo (io partecipai sia da litigante che da paciere in svariate occasioni, pur essendo già straight-edge e quindi sempre lucido e sobrio). Non parliamo poi di ragazze attratte dal gruppo, nel senso, quali ragazze? Dato che nel migliore dei casi rimanevano perplesse davanti ai testi e all’atteggiamento della band. Volgarità da film trash-comico anni 70/80 a nastro, citazioni delle metal bands più becere e sessiste, blasfemie assortite, vomitate nei bagni (o dove capitava) dei posti dove suonavamo, birra a fiumi e nuvole di fumo, tutte cose che per rimorchiare forse funzionavano nella California che tanto sognavamo, qui fra Bassa Valtellina ed Alto Lario…no! Emblematico comunque anche l’episodio dell’ultimo concerto: avremmo dovuto registrarlo come documento per i posteri e avevamo un set di circa 40 minuti, covers incluse (e negli ultimi live, scalette d’epoca alla mano, vedo che facevamo ‘Give you nothing’ dei Bad Religion, ‘Let’s lynch the landlord’ dei Dead Kennedys, ‘Militare’ dei savonesi Drull, e la sigla del cartone ‘Atlas ufo robot’ nella versione dei torinesi Church Of Violence, tutte “impreziosite” da parti di fiati e tastiere, ovviamente), solo che al momento di salire sul palco (a Colico, a duecento metri da dove sto scrivendo adesso, con addirittura mia mamma fra il pubblico) mancano il Daddy e lo Zonca, finiti a bere e fumare chissà dove… senza telefonini non sapevamo dove si fossero cacciati e non potemmo fare altro che aspettarli. Arrivarono belli carichi in un ritardo mostruoso (e quindi solita scenetta di litigi interni davanti a trecento persone…), tant’è che ci venne concessa la sola possibilità di fare quattro pezzi prima di levarci dalle palle e lasciare spazio agli altri gruppi…da lì la cassetta-live coi soli quattro brani… Eppure queste due cassettacce ebbero un certo “successo” locale negli anni a venire, tanto che per qualche anno andò avanti la duplicazione “pirata” fra i ragazzi più giovani, quelli che ai “nostri tempi” avevano dai dieci ai tredici anni. Ricordo che una sera (1997? Mi pare) ad un concerto locale una ragazzina di Regoledo, che non poteva avere più di quindici anni, mi chiese “ma tu li conosci i Pubertas Morbegno?”, “beh, ragazza mia, li avrei come fondati io…” fu la mia risposta rassegnata…e no, mi sa che nessuna groupie abbia mai chiesto a Tommy Lee se conosceva i Motley Crue, destino cinico e baro il mio! I Pubertas si sciolsero la notte stessa del succitato live colichese (scioglimento già deciso prima degli ultimi due concerti) e i componenti presero strade diverse: il Daddy smise di cantare e a tutt’oggi non ha ancora ritrattato la decisione (non siamo nemmeno riusciti a portarlo in sala a fare i cori sull’album dei Gradinata), il Bonello continuò a suonare la batteria nei Caven e ripose il sax nella sua custodia, il Roby passò a suonare la tromba (e forse anche lo stesso sax) e qualche anno dopo fece parte di un’estemporanea ska-reggae band locale di cui non ricordo il nome, lo Zonca venne reclutato dai thrashers berbennesi S.N.P. e ci suonò per qualche anno e il Màino tornò ai suoi studi classici. Anni dopo lo Zonca e il Bonello (stavolta in veste di chitarrista) si ritroveranno nei Milaus, il noto gruppo indie-rock, assieme al Max (quello di Sbizza E La MicrOrchestra, per restare ai giorni nostri), che qualche volta ci aiutò al basso in occasione di un paio di assenze dello Zonca e che fu il chitarrista nell’unico concerto dei Tracy Lords Hates Hardcore (cioè sempre i Pubertas, ma senza l’Alex che era al mare; non avevo avuto cuore di suonare col nostro nome originale in assenza di colui con cui avevo fondato il gruppo).
Io e l’Alex invece restammo uniti (n’Oi! …una citazioncella d’annata per gli amanti dell’oi! italico) e decidemmo di mettere in piedi una band fra hardcore melodico e pop-punk, reclutando al basso Marco (il mio collega di fanzine) e alla voce l’Alida, al tempo fidanzata dell’Alex, oltre che vocalist d’eccezione con qualche trascorso in bands locali tipo gli S.V.A.B. (Sergio Va A Bema, versione locale di Frankie Goes To Hollywood: la primissima incarnazione dei futuri Carrions N.N.), i Seven Seals (heavy metal band con al basso il fratello dell’Alida, poi turnista dello strumento) e i Pazienti Sotterranei (“musica psichiatrica”, come la definiva il leader Lucio). Come primo pezzo ne recuperiamo uno dei Pachera (un quintetto pop-punk che ebbe vita brevissima e solo da sala prove, con Rasco e Botka dei Caven a voce e chitarra, Alex all’altra chitarra, Alida al basso e io alla batteria), “Today”, in inglese. La nuova band prese la denominazione di Eternit (settembre ’95 / giugno ’00) su idea del Marco, come il materiale cancerogeno a base di amianto di cui all’epoca in Italia era da poco cessata la commercializzazione. Deciso per il cantato in italiano e composti i primi pezzi nostri, a cui si affiancarono delle ovvie covers, iniziammo a suonare dal vivo sfruttando anche la rete di contatti che ci eravamo procurati come Pubertas; nel primo anno di vita del gruppo andammo ad Alessandria, Treviso, Pavia, Voghera, Torino, Aosta e Varese. E nel frattempo ci eravamo già messi in pista per registrare un 7” che ci saremmo autoprodotti sulla mia etichetta La Fiera Del Bestiame (etichetta in realtà creata dal Bonello come distribuzione di dischi e materiale vario, io mi ero affiancato al Fabietto qualche tempo dopo. Poi lui aveva mollato il colpo lasciando tutto in mano a me, io avevo quindi reclutato il Marco come aiutante e come primo lavoro avevamo coprodotto assieme alla band la cassetta d’esordio dei Caven. Ora era il momento di un disco vero e sarebbe stato il nostro!). Scegliemmo quattro pezzi, uno di hardcore melodico (con un brevissimo stacchettino skaeggiante verso la fine come tributo ai defunti Pubertas) con testo emozionale dell’Alida, uno di hardcore mid-time con un testo del Marco che criticava i metodi coercitivi dei capetti dell’Operazione Mato Grosso verso i propri volontari, uno più sull’hardcore-punk allegrotto chiamato “Fabio Bonelli” il cui testo (mio e dell’Alex) prendeva simpaticamente in giro il nostro socio e le sue convinzioni e credenze, e infine la ‘Today’ dei Pachera riproposta nella versione Eternit (alla fine, l’unico pezzo veramente meritevole del viniletto). Uscito con una copertina ed un titolo, su cui tacerò, entrambi un po’ fuori luogo rispetto al contenuto del disco, venne stampato in 1.068 copie, tutte vendute o (soprattutto) scambiate nel giro di un anno. Il 7” venne registrato dal Giuse col suo studio mobile nel garage della casa del cognato Gabri a Berbenno. Quando uscì fu accolto decisamente bene in Italia, anche se dato che nel giro ci si conosceva un po’ tutti, mi sa che tanti ne parlarono bene per amicizia ;-), ma pure all’estero ricevemmo un bel po’ di recensioni positive, fra cui quella su uno dei vangeli dell’hardcore mondiale, “HeartattaCk”, dove parlarono benone del nostro dischetto e maluccio di alcuni dischi italiani di gruppi a cui noi non eravamo degni nemmeno di portare gli strumenti (Growing Concern, Church Of Violence e Sottopressione). In questa recensione la voce dell’Alida (il punto di forza degli Eternit) veniva paragonata a quella della storica Penelope Houston, la cantante degli Avengers, i punk-rockers anni settanta di San Francisco, cosa che a me faceva molto più piacere rispetto al paragone imperante con la voce di Cinder Block, la cantante dei Tilt, una band californiana nostra contemporanea. In realtà non ho mai riscontrato questa somiglianza, è che all’epoca loro erano la pop-punk band con voce femminile più conosciuta e quindi il paragone era scontato. Tra l’altro nessuno di noi all’epoca aveva mai sentito un disco di questi Tilt (gli stessi Avengers mi sa che li conoscevo solo io), per cui alla fine questo continuo binomio Eternit / Tilt ci dava un po’ fastidio. Dopo l’uscita del 7” eravamo indecisi se inserire o meno una seconda chitarra e invece a sorpresa (idea caldeggiata da me) inserimmo un tastierista, il solito Màino, che durò lo spazio di tre concerti e lasciò in dote unicamente la splendida parte pianistica su “Dentro all’alba”, un pezzo che nella versione priva delle tastiere ricordava vagamente una ‘Zombie’ dei Cranberries leggermente velocizzata. Avevamo anche alcuni pezzi nuovi, nei quali si stava facendo strada qualche influsso di heavy metal anni ottanta, quello più becero che la nostra cantante chiamava molto appropriatamente ‘cess-metal’! Intanto c’era da far fronte all’abbandono obbligato del Marco, causa trasferimento in terra finlandese che inizialmente sarebbe dovuto durare un anno fino alla laurea, ma poi proseguirà fino ai giorni nostri avendo il nostro trovato lavoro lassù nella classica Nokia. Motivo per cui il suo sostituto dapprima entrò come membro temporaneo, poi diventò un Eternauta a tutti gli effetti. Il nuovo bassista era il Gabriel Pontello sondriese, al secolo Gabriele “Lele” Cola, già coi punkrockers ramonesiani Overdones di Morbegno e all’epoca impegnato anche coi melodic-hardcorers sondriesi Maister Proper. Questa formazione dura tre anni, tre anni di concerti (ah sì, i concerti non erano certo gli eccessi dei Pubertas, ma calcolate che la presenza di una coppia di fidanzati in una band è una bomba sempre sul punto di scoppiare) e di composizione di pezzi nuovi, una dozzina, tutti improntati verso una direzione sempre più rock, più indie se vogliamo, più pop a dirla tutta, man mano che il tempo passava, dimenticando sempre di più l’hardcore (anche se le radici non le scordavamo di certo e a testimonianza di questo facevamo le covers di “Oltre la porta” dei Rappresaglia e di “Dentro te” dei Wretched, quest’ultima in una versione personalizzatissima). E questi, gente mia, erano all’ 80% dei gran bei pezzi, quasi tutti coi testi dell’Alida e quindi colmi di emozioni prettamente femminili, più qualcuno con le liriche dell’Alex, più ermetiche volendo, ma sempre di buon livello. Riuscimmo almeno a registrarli con un 4-piste, sotto la guida del Professor Botka calato nelle vesti del compianto John Peel (infatti denominammo le due serate di registrazione le Botka Sessions), in versioni scarne ma che almeno saranno tramandate ai posteri, e penso sempre a che gran pezzo poteva essere, con una registrazione all’altezza e una bella produzione, la prima ballata/poi rock “Verso l’orizzonte”, che ho sempre definito la “Stairway to heaven” degli Eternit, anche per via di qualche scopiazzatura (malriuscita, s’intende) ai Led Zeppelin! L’avventura Eternit finisce, per svariati motivi, nell’estate del 2000, senza rancori fra i componenti comunque. Spiace solo non aver messo su un Lp quei pezzi nuovi. Una raccolta di tutti i pezzi degli Eternit (il 7”, dei brani live e le Botka Sessions) uscirà dopo questa fanza nel 2013, sottoforma di cd di quasi ottanta minuti in edizione limitatissima per i soli amici dei componenti della band (me ne sono occupato personalmente in questi anni con l’aiuto del Buzzo per pulizie sonore e grafiche varie). L’Alida smetterà di cantare per un po’, salvo riprendere per qualche mese in un gruppo di hardcore melodico (U.K. style) mai uscito dalla sala prove e comprendente lei alla voce, Botka e Daddy Unabomber (il Daddy 2.0 della scena morbegnese) alle chitarre, la Sabry al basso e io alla batteria. La band si chiamerà con molta autoironia Kurva (puttana in varie lingue slave), vista la presenza di due ragazze in line-up. Il Lele fonderà da lì a poco i RedBloodHands, band fautrice di quell’hardcore new school urlato che a me fa irrimediabilmente due palle grosse come cocomeri, ferma restando la validità del progetto in questione che farà uscire nel corso degli anni tre albums su cd. Poi in tempi più recenti entrerà negli hardcorers milanesi LaCrisi (gruppo con alla voce l’ex cantante dei Sottopressione se non erro), con loro registrerà qualche disco di vario formato e andrà pure a fare un mini-tour in U.s.a. Io e l’Alex intanto, nel solito eternamente inscindibile duo, stavamo già suonando anche coi Gradinata Nord (un paio di volte fra l’altro ci era toccato il doppio set nello stesso concerto, prima coi Gradinata e poi con gli Eternit) e, pur suonando sia io che lui in almeno un altro gruppo avviato (Obbrobrio per me, gli hard-rockers Xenya per lui, registrerà un cd con loro), ci votammo completamente alla dottrina dei supremi vicari del rock’n’roll locale, Papo & Bassman, ma questa è un’altra storia di cui leggerete dopo (e pure qui abbiamo rischiato di non dare un seguito all’opera prima, anche se tutto sommato il primo disco dei Gradinata, nel tempo, è diventato un piccolo classico dell’Oi! italiano, per cui…!). E a fare da trait d’union in questa storia (almeno dai Pubertas in poi) è l’inaspettato Màino, che ritroveremo come ospite al piano/organo in alcuni pezzi dell’album dei Gradinata targato 2010: la parte finale di ‘Gradinata Rock’, con l’hammond alla Deep Purple (voluto fortemente da me) è il massimo che il sottoscritto ha raggiunto a livello musicale in una sua band, il mio zenith! ;-) Scrivere tutto questo mi ha riportato alla mente sensazioni ed anche odori di quegli anni. Anni di sale prove umide e fredde d’inverno e soffocanti d’estate, di macchine stipate fino all’inverosimile di strumenti e persone, di vestiti che puzzavano di fumo, di autoradio a cassette a tutto volume, di birra sui pavimenti, di rientri all’alba e di notti passate su pavimenti o dentro un’auto. E decine e decine di persone incontrate in giro, alcune sparite dalla circolazione, alcune purtroppo defunte, altre che ancora, saltuariamente, sento/vedo (pure io sono uscito dal giro dei concerti, locali e non, salvo rarissimi casi).
Che avessero avuto ragione i Business? “I should’ve known better than to live my life that way, I should’ve known better yesterday” (The Business, 1994)