Please allow me to introduce myself, I’m a man of wealth and taste…

Un paio d’anni fa un mio cliente, industriale lecchese, si presentò sul cantiere in un giorno nel quale, come ebbi modo di appurare chiacchierando con lui, cadeva il suo compleanno. Alla mia ovvia domanda ‘quanti sono?’, la risposta fu ‘sono ottanta…’ pausa ad effetto, sospiro, e poi ‘porcodio…’ con tono ironicamente rassegnato. Ecco, è esattamente quello che potrei dire io adesso, con la sola differenza del quaranta al posto dell’ottanta, ma il resto lo sottoscrivo pienamente. In teoria il raggiungimento dei quarant’anni segna un momento importante nella vita di ogni persona, in teoria appunto, sinceramente che siano quaranta o fossero, che so, trentadue o quarantotto, non è che la cosa mi cambi l’esistenza. Fa solo un certo effetto pensare a quante primavere sono già passate, tutto lì. Per il resto, purtroppo o per fortuna a seconda dell’angolazione da cui la si voglia guardare, non cambia nulla. Eppure io li voglio festeggiare ‘sti cazzo di quarant’anni e lo voglio fare a modo mio, cioè dando finalmente alle stampe il numero dieci di questo ammasso di carta, dopo un numero nove che vide la luce nella primavera del 2002, più di dieci anni fa. Era la Marina Ripa di Meana che aveva scritto quel libro autobiografico ‘I miei primi quarant’anni’, no? Ecco, io i miei li festeggio in modo vagamente simile, nel senso che in questo numero troverete, fra le altre cose, vari riferimenti ad avvenimenti passati che mi hanno visto protagonista o spettatore…non certo un’autobiografia, ci mancherebbe altro (quella ve la risparmio pietosamente!). Come mai sono passati più di dieci anni fra un numero e l’altro? Beh, i motivi sono svariati, ma alla fine ce n’uno sopra tutti gli altri, cioè che sono rimasto solo io a farla (Marco, il mio partner storico degli anni “ruggenti” di questa fanza, si era chiamato fuori dopo l’uscita del # 9) e si sa che in questi casi se non si ha l’uno la spalla dell’altro a cui appoggiarsi e per darsi il pungolo reciprocamente al fine di velocizzare la lavorazione, si finisce con l’impigrirsi, col rimandare a domani e poi a dopodomani, tanto non ci sono scadenze da rispettare, finchè i giorni che passano diventano prima mesi e poi anni! Certo, nel tempo io ho sempre scritto qualcosa ogni qualvolta mi andava di farlo, e questo spiega la mole del numero (quantity not quality, ha ha!) e le situazioni ivi narrate che coprono un decennio (e a volte vanno pure indietro), per cui quando mi sono ritrovato con decine di cartelle di Word zeppe di parole ho deciso di sfruttare l’ “evento” di cui sopra e di pubblicare finalmente questo lungamente rimandato numero dieci. Così magari smetterò di sentirmi chiedere da qualcuno: “ma la fai ancora la fanzine?”, con quel tono a metà fra l’effettivo interesse ed un certo compatimento, come se la domanda fosse “ma ti pisci ancora addosso a letto o hai smesso?”, intendendo con ciò il fatto che fare una fanzine (per giunta ancora su carta in un’epoca di webzines) viene visto come un qualcosa di infantile, di immaturo, o peggio un qualcosa da giovani e per giovani, fatto nel mio caso da un quarantenne per magari fare il tipo giovanile… cristo gente, niente di tutto ciò, vade retro! Io questo numero lo faccio uscire perché mi piace scrivere e non mi dispiace che qualcuno/a legga, perché ci sono delle cose che mi fa piacere poter condividere con altre persone (i lettori, appunto), perché parecchia gente ha spedito del proprio materiale per essere recensito ed è corretto che io queste recensioni le debba pubblicare (anche se con ritardi che, come noterete, hanno del clamoroso), perché…perché è una cosa che sento il bisogno di fare (come diceva Mick di “Enphasys”, ottima fanzine aostana della seconda metà degli anni novanta: “Già me li sento…’ma perché fare una fanzine?’. Ma che cazzo ne so! Bisogna sempre dare una risposta a tutto? Perché ci deve essere sempre un perché? E’ come chiedere ‘perché sei andato a cagare?’. Perché ne avevo bisogno, dio fà! Non ci deve mica sempre essere una spiegazione per tutto. Un po’ di irrazionalità, cazzo! Un po’ di slancio emotivo! Se uno si sente di fare una cosa la fa e basta. Al di là di tutte le frasi fatte che si leggono / scrivono un po’ ovunque” – da “Enphasys” # 1, novembre ’96. Io confermo e sottoscrivo). E potrei avere pure novant’anni, lo farei ugualmente. Non è di sicuro una questione di età. Certo, il termine fanzine ha un che di sfigato, lo so. Eppure dovrebbe voler dire magazine redatto da uno o più fans, no? Traducendo in italiano, rivista assemblata da uno o più appassionati (di qualcosa). Ci sta, io sono appassionato di musica e di molte altre cose, e di ciò voglio scrivere, condividendolo quindi con voi, hypocrite lecteurs. E facendomi la fanzine/rivista da me ci scrivo quello che voglio, altro che la sindrome del vorrei (scrivere su un giornale ufficiale) ma non posso (e allora faccio una fanzine): per quanto in passato abbia avuto modo di scrivere casualmente qualcosina anche per pubblicazioni ufficiali, quello non è il mio mondo, non ho mai voluto entrarci, il mio mondo è qui, su queste pagine in cui state (spero!) per addentrarvi. Il taglio che ho cercato di dare a questo numero è quello di una fanzine rivolta anche al di fuori della scena (che poi, quale scena? Quella hardcore-punk italica in cui non bazzico più realmente da ormai una decina di anni?). Penso sia una cosa logica e consequenziale, oltre che il senso dell’uscita di una “Nessuno Schema” più di due lustri dopo l’ultimo numero. E’ un taglio autoreferenziale? Oh yeah! ;-) Dicevo prima, a me piace scrivere, però per sgombrare il campo dagli equivoci, quello che mi piace scrivere sono le cose che andrete a leggere. E basta. Non ho mai scritto poesie (attività che aborro, oltre al detestare la poesia, specie quella a livello amatoriale), non ho mai tenuto un diario (se ne escludiamo uno che io e alcuni miei compagni di classe tenemmo in quarta superiore, ma diciamo che non era proprio il tipo di diario che ci si immagina solitamente!), non ho mai scritto racconti, però più di dieci anni fa tentai un libro in cui i protagonisti si muovevano fra la scena hardcore/oi!, lo stadio, il lavoro, le relazioni, ecc.,. ma lo abbandonai dopo circa dieci pagine, suonava troppo John King (se non lo conoscete, è uno scrittore inglese e vi consiglio di provare a leggere i suoi libri) e l’originale oltre ad esserci già era sicuramente mille volte meglio. E poi certo, ho pure scritto qualche lettera d’amore o pseudo-tale, in quest’ultimo caso mi riferisco ad una situazione nella quale non avrei avuto la possibilità di dire certe cose direttamente, essendo ciò infattibile a livello logistico (se leggi queste pagine, sì, parlo di te ;-) !). E’ palese che l’iniziale idea di uscire in contemporanea col mio quarantesimo compleanno (18 di ottobre del 2012, per la cronaca) è stata presto abbandonata quando, durante i miei quindici giorni di ferie agostane (cioè il momento in cui avevo previsto di assemblare definitivamente il numero per poi utilizzare il mese di settembre per correzioni e revisioni, uscendo così in ottobre), mettendo assieme tutte le varie cartelle, mi sono reso conto di essere ancora a poco più della metà dell’opera…certo, in quelle due settimane ho dato, come si suol dire, “un bel colpo” alle lavorazioni, ma per avere in mano il prodotto finito, con quei dieci minuti liberi al giorno che mi restano normalmente, si è dovuto slittare fino a quasi metà 2013, per cui se nel frattempo il mondo non è saltato per aria starete leggendo queste righe, in caso contrario, dovunque il mio miserabile io sia finito, mi staranno girando ampiamente i cosiddetti per aver scritto tutta ‘sta roba per niente! ;-) Tornando allo scorso agosto, ho fatto un po’ come il Kent McLard (mi piace usare l’articolo davanti al nome di persona, fa molto gergale/dialettale) una quindicina di anni fa. C’era ‘sto tipo (e c’è ancora), proprietario di un’etichetta Hardcore californiana, la Ebullition Records, che faceva anche una fanzine chiamata “HeartattaCk”; a un certo punto Kent, che stava attraversando una fase di scazzo e perplessità che lo rallentava nell’assemblaggio della sua fanzine, grazie ad un amico trova nello svago del fare surf una nuova linfa vitale ed un nuovo stimolo per continuare a lavorare sulla ‘zine e finire il numero a cui stava lavorando (termine quanto mai appropriato dato che scrivere “HeartattaCk” faceva parte del suo mestiere). Io nel mio piccolo (da hobbysta della carta stampata) ho passato una decina di giorni delle mie suddette due settimane di ferie dell’agosto 2012 facendo un giretto in bici la mattina presto per poi rientrare a casa a lavorare sulla fanza, andando quindi in spiaggia al pomeriggio per poi ritornare a ri-lavorarci fra tardo pomeriggio e primissime ore della sera. Uhm, qualche “lieve” differenza con quella situazione californiana l’ho notata, però, eheh! Il resto è stato scritto nelle condizioni più disparate: le battiture al computer (su tre pc diversi! Due “fissi”, dato che nell’estate 2006 tirò le cuoia il primo e ne comprai un secondo in sostituzione, e un portatile usato che ho avuto per circa un annetto) sono state effettuate in tre case diverse (cioè quelle in cui ho abitato in questi ultimi dieci anni), gli appunti scritti a mano in una marea di luoghi e situazioni, generalmente sul lavoro o a spasso in giro per i paesi del circondario: se mi viene un’idea, e di solito mi vengono mentre sto guidando, la scarabocchio su un post-it, sempre mentre guido, oppure me la scrivo sul telefonino, cosa che faccio anche quando l’idea mi colpisce in situazioni “sacrali” tipo riunioni di lavoro o cene varie (così tutti quelli che m’han visto farlo e di sicuro hanno pensato ‘ma guarda quell’idiota, cosa cazzo avrà da continuare a messaggiare…probabilmente starà scrivendo idiozie a qualche tipa che non se lo caga neanche di striscio!’, adesso, se leggono, conoscono la triste realtà…e forse era meglio quello che pensavano loro!). Per darvi poi un’idea del tempo passato per le lavorazioni a questo numero, c’è un articolo (non vi rivelo quale, ovviamente) che è stato scritto per metà con la mia fidanzata dell’epoca che mi faceva le classiche coccole da dietro la sedia della scrivania, e per l’altra metà in una situazione (dovuta ad una ragazza dalla quale, innamorato perdutamente, venni respinto) da impiccarsi in soggiorno, magari con un disco dei Gradinata Nord sullo stereo (che almeno il mio suicidio avrebbe portato notorietà ai miei compagni di gruppo) ;-). Qualcuno/ a si chiederà anche, ma questo quando ha trovato il tempo di battere tutto ‘sto tomo? Beh, calcolando che gli anni sono stati tanti, alla fine è tutto tempo che si è diluito in migliaia di giorni, per cui niente di clamoroso. Posso dire che di solito “lavoro” al pc la domenica mattina, qualche volta il sabato pomeriggio, più raramente la sera dopo cena in settimana, oppure, vedi sopra, durante le ferie e le feste comandate. Per quanto riguarda i contenuti, boh, provate a leggere, qualcosa di interessante qua e là lo dovreste trovare tutti/e, anche chi è un “profano” rispetto alla gran parte degli argomenti che tratto. E’ comunque un numero che in fin dei conti definirei “leggero”, che già ci sono abbastanza rogne da doversi grattare ogni giorno (quelle cose che “ti sporcano la vita” come dicevano molto appropriatamente i triestini Upset Noise ormai quasi trent’anni fa), quindi rispetto al # 9 niente riflessioni sulla scena Hardcore (anche perché ormai ha preso strade a me sconosciute: musicalmente non mi interessano più i gruppi nuovi, la gente che vi orbita al 95% non la conosco più visto l’ovvio ricambio generazionale, si sono sviluppati una serie di sottogeneri che conosco tanto quanto la formula della CocaCola, ecc.ecc.), niente politica (solo Oi! – citazione (in)colta che qualcuno di voi riconoscerà ed apprezzerà), un nuovo logo (e generalmente quando una band cambia il logo vuol dire che inizia a sfornare dischi orrendi, vedasi il caso dei Metallica, fate voi i vostri conti col caso di questa ‘zine…) in cui fra l’altro non compare più la A cerchiata (non che il sottoscritto abbia mutato le sue idee anarco-socialiste, anzi, ma arrivato ad una certa età penso che i simboli lascino un po’ il tempo che trovano e adesso capisco di più la scelta che fecero i Kina quando operarono analogamente per il loro logo al tempo dell’lp “Città invisibili”)…insomma, un numero senza troppe pretese, assemblato in ben undici anni e passa scrivendo qualcosa ogni tanto per il piacere personale di scrivere, come già detto più sopra, e per have a laugh (che tradotto con ‘farsi una risata’ non rende quanto l’originale inglese), tanto alla fine, inglese per inglese, life’s a joke…keep on jokin’ (che in realtà è una citazione dei ferraresi Madhouse, hardcore/thrash band di fine anni ottanta…non devo tradurla, spero, no?). Niente parti Emo (non che ce ne siano mai state di vere e proprie, ma qualche deriva “emozionale” l’ho presa anch’io nei passati numeri, và!), anche perché negli ultimi anni si è assistito ad uno stravolgimento del termine, tanto che adesso, per la massa, Emo sono quei ragazzini efebi truccati da pirla che se mai mi riprodurrò e un giorno mi tornasse a casa mio figlio conciato così, prima lo strucco col solvente, poi lo chiudo in camera per una settimana coi Motorhead sullo stereo 24 ore su 24 (come fecero i militari statunitensi con Noriega a Panama nell’89 sparandogli heavy metal non-stop per farlo uscire dal rifugio!). Oppure quelle ragazzine truccate da bambole venute male che mandano i messaggini su AllMusicTv tipo “W l’Emo, by Bimba99”, che anche qui se un domani ecc.ecc. e a casa tornasse la figlia, magari evito la parte del solvente, però la settimanella di Nuclear Death, Sentinel Beast e Zoetrope a giro continuo non gliela leva nessuno (per i profani/e, erano tre bands Thrash Metal anni 80 caratterizzate dall’avere tutte una cantante che capivi essere tale solo se vedevi le foto e in due casi su tre forse nemmeno così!). Oltretutto dopo vecchie uscite ricordo gente che mi diceva “in certi passaggi sembra che tu non sia felice della tua vita” (e meno male che scrivo ‘Nessuno Schema’, chissà se suonavo nei Joy Division!)…beh, gente, vi dico una grande verità: io, come tutti del resto, a volte sono triste, a volte sono felice, a volte ho le balle girate, a volte da tanto sono contento e rilassato potrei sopportare un disco di nu-metal. Certo, magari io ogni tanto estremizzo un po’ il tutto e sono come Fantozzi che sotto la doccia passa in pochi secondi dall’euforia alla depressione poi ancora all’euforia, ecc. però alla fine penso che chi sia completamente felice della propria esistenza e chi non lo è per nulla sono entrambe persone che a modo loro non hanno capito un cazzo! D’altro canto ho ricevuto in passato anche commenti del tipo “beh, però ti diverti mica poco tu!”, in riferimento ad articoli su esperienze di vita, oppure trasferte concertistiche et similia; e ho sempre risposto che quelle sono pagine scritte, ma ci sono anche mille e più pagine di mediocre quotidianità che invece non lo sono…e comunque alla fine ‘sta fanza per me è un modo di raccontare delle esperienze, di fare delle riflessioni su questo o quello, come se fossimo io e te lettore/lettrice al bancone di un bar con davanti un caffè, oppure in pizzeria, oppure, che so, in treno o in macchina. Che alla fine si tratta semplicemente di quel poco che ha da dire un ragazzo (ignoriamo l’anagrafe, và!) nato, cresciuto e vissuto in provincia, con la sua esistenza, banale se volete, svolta fra passioni altrettanto banali quali musica, calcio, cinema e libri. La stessa esistenza di milioni di altre persone, l’unica differenza, forse, è che io ne scrivo. Ma non sono certo l’unico al mondo a farlo, ovvio. E’ un numero, questo number ten, scritto facendo un po’ (vago) riferimento allo stile “stream of consciousness”, buttando giù un po’ tutto quello che mi è passato per la mente senza troppi complimenti. Ah, se dopo avermi visto usare questa locuzione state pensando ‘ah bè, però, ha una certa cultura’, vi smonto subito dicendo che la conosco principalmente in quanto titolo di un pezzo dei Kreator; poi, certo, dopo qualche anno ero andato a vedere le origine della suddetta locuzione (Joyce, Freud e compagnia) …dopo! (detto con tono ed accento alla Josè Mourinho). Il mio stile di scrittura è comunque, come avrete modo di notare voi stessi, piuttosto contorto: faccio continui riferimenti a questa persona, a quel gruppo musicale o a quel film, inserisco decine e decine di citazioni di svariata provenienza, mi dilungo in troppi dettagli che a volte fanno perdere il filo del discorso, uso la punteggiatura in maniera piuttosto disinvolta, e tutto quanto necessario per non essere uno scrittore! Infatti credo che se mai partecipassi a qualche corso di scrittura verrei buttato fuori a calci in breve tempo e che se qualche scrittore vero leggerà mai questo ammasso di carta probabilmente verrà colto da reazioni isteriche curabili solo con qualche settimana d’ospedale a brodini caldi e libri di Calvino e Pirandello! Essendoci articoli buttati giù in un lasso di tempo piuttosto esteso, ci saranno probabilmente anche parecchie contraddizioni fra uno scritto e l’altro, ma come dicevano gli enormi Paolino Paperino Band “la vita stessa è una contraddizione” da leggersi con pesante accento emiliano (citazione per esteso con le due voci: eh beh però è una contraddizione / la vita stessa è una contraddizione / ah beh allora… sempre con l’accento modenese). Se ogni tanto potrà sembrare che ostenti conoscenze di questo o quello, beh, è solo perché in realtà posseggo una cultura generale di un po’ di tutto, ma sono infarinature più che altro…non approfondisco o ho approfondito mai più di tanto pressochè su niente, per cui, e diciamolo, so’ ignorante, probabilmente più di voi! A livello di conoscenza musicale, intesa come conoscenza di gruppi, generi, aneddoti, ecc. non è che voglia fare l’espertone di ‘sto cazzo, dato che chiunque, dopo secoli di ascolti vari e relative letture nonché presenza fisica, può conoscere quello che conosco io; niente di cui vantarsi comunque, anzi… Come modo di scrivere, io uso un linguaggio ed un frasario non proprio educatissimi, un po’ “il parlare della strada” se volessi cucirmi addosso una credibilità street-core-punk-rock (cosa di cui mi importa tanto quanto chi ci sia ospite a C’è Posta Per Te nella prossima puntata), per cui magari a volte uso termini “proibiti” come negro o frocio o troia, ma vanno sempre presi nel contesto. Figuratevi, io che quando sento dei brocchi locali giudicare una persona solo per provenienza o colore della pelle, avrei voglia di prendere una P38 e giustiziarli tutti uno per uno, capi d’accusa: ignoranza e stupidità. Io che quando vedo l’odio della gente verso i gay (non gli ostentatori della propria sessualità, quelli non piacciono manco a me, gay o etero che siano) vorrei prendere tale gente a legnate chiedendo durante l’operazione se è così importante con chi va a letto uno per giudicarne il valore come persona (invece le lesbiche sono per questi imbecilli più accettabili, per un retaggio maschilista da video porno, ma solo per quello però). Io che quando sento dare della troia ad una ragazza (magari single), solo perché è andata in doppia cifra a livello di partners, mi vien voglia di tirare una badilata in faccia all’autore della sentenza dicendogli che se invece era lui (solitamente sposato o fidanzato) a farsi venti donne allora sarebbe stato un grandissimo secondo la sua logica del cazzo (da intendersi in ambo i sensi, chiaro); e poi la ragazza in questione è una brava persona o no? È questo ciò che conta nella vita, credetemi. Nello scrivere, purtroppo, ho iniziato da qualche anno a fare uso delle emotes o “smailini”, che non sono i figli di Umberto Smaila -battutaccia orrenda, me ne rendo conto-, ma l’unico modo con cui specie da noi, noti anglofoni -è ironico eh!-, si indicano quei segni tipo ;-) :-) :-( ecc. ecc. con mille versioni. A me non esaltano molto, anzi, però negli anni mi sono ritrovato ad usarli sempre più spesso perché in effetti nel caso della parola scritta fanno capire il tono con cui si dice una cosa. Ricordo che una tipa che frequentavo una decina di anni fa mi rimproverava che non si comprendeva mai il tono dei miei sms e che lei non capiva se facevo sul serio o meno, se ero incavolato o contento…beh in effetti se alla domanda “ti va se ci vediamo al Doc alle quattro invece che al Monumento alle tre?” si risponde (per un inner-joke rivolto a se stessi) alla John Cleese “sì…suppongo di sì”, ammetto che qualche dubbio possa sorgere. Oppure se a “domani non posso uscire, devo studiare, è ok per te?” si risponde con un “do what thou wilt” (più o meno, fai quello che vuoi) di Crowleyiana memoria, una in effetti si chiede con chi cavolo ha a che fare. Per cui da allora ho iniziato ad usarli ed in effetti vanno bene anche qui sulla fanza: ad esempio se su ‘Nessuno Schema’ # 7 del ’97, nella recensione di una fanzine in cui compariva un’intervista ai Caven (la folk-punk band morbegnese), al mio scherzoso commento ‘Basta non se ne può più!” (dato che suonavano ed apparivano dappertutto in quel periodo) avessi aggiunto un ;-) , forse qualche crapone all’interno della band non se la sarebbe presa interpretandolo in senso letterale! Ah, dopo crapone ci va un bel ;-), chiaro, eh eh! In pratica io uso solo questo, il ;-), per segnalare che quello che sto scrivendo o è una battuta o lo sto dicendo col sorriso sulle labbra. Qualcuno/a si starà chiedendo: ma perché questo fa una fanzine ancora su carta? Domanda legittima, vista l’epoca di webzines, blogs, facebooks e twitters vari… boh, per me le fanzines sono di carta, punto. Faccio subito un paragone un po’ volgarotto, ma che dovrebbe rendere l’idea, la differenza fra webzine e fanza di carta per me è un po’ come quella che c’è fra guardarsi un video hard sul computer e andare a letto, che so, con la cameriera (o il cameriere, mi rivolgo a lettrici e lettori altri) del pub di fiducia. In altre parole, il toccare con mano il prodotto finito, il sentire l’odore della carta stampata, il fruscio delle pagine che scorrono…dolci sensazioni, come il titolo di quel pezzo degli Impact. E poi la faccio su carta per chi non ha il pc (ed è più gente di quanta ne possiate immaginare, fidatevi), per quelli come me che odiano leggere sullo schermo per più di qualche minuto, perché i libri contrariamente alle previsioni si vendono ancora decentemente e nei bar qualcuno ha sempre in mano uno dei vari quotidiani, sportivi e non. Una nota per tutti i “profani/e” che si accingono alla lettura: preparatevi a destreggiarvi fra una selva di nomi di gruppi e persone. Bands famose e bands di hobbisti dello strumento, più tutta quella gente che vi gravita attorno…nella nostra zona, in tutta Italia, in Europa e nel mondo. Questa roba è stata una grossa parte della mia vita da quasi trent’anni ormai. E preparatevi anche ad una selva di termini a voi sicuramente sconosciuti, so benissimo che se scrivo Crust o Oi! o Doom è come se avessi scritto parole in un antico dialetto sumero! E so anche che spiegarne il significato è impresa ardua, dato che si presuppongono conoscenze basilari che probabilmente (e giustamente, se non siete persone interessate alla cosa) non avete, quindi evito. Spero però che riusciate sempre a seguire il filo dei miei (contorti) discorsi, anche quando i termini strani si fanno più frequenti. E poi, volendo, per orientarvi un minimo, date un occhio alla famigerata Wikipedia, magari vi può aiutare meglio del sottoscritto! Ah, per chiudere questo chilometrico intro, volete due note sul vostro adorato redattore, magari un po’ secondo lo schema dell’ormai superato MySpace? Ma sì, dai, proviamoci! Dunque, per iniziare, il sottoscritto è al momento (8 maggio 2013) celibe o single che dir si voglia (per cui aspetto proposte da lettrici carine, intelligenti e simpatiche, e soprattutto con scarsissima tendenza al rompicoglionimento! ;-). Sono nato a Bellano (allora Co, oggi Lc, in futuro chissà) il 18 ottobre del 1972 (l’anno di “Made in Japan” dei Deep Purple, per citare il primo disco che mi viene in mente), orientamento direi decisamente etero (e dire che se fossi bisessuale avrei un mare di opportunità in più; è che, citando il collega di lavoro di Nino Manfredi in “Testa o croce”, a me l’omo me fa schifo!), altezza 1.80, etnia, beh, etnia alto-lariana, of course! ;-) Segno zodiacale bilancia. Figli, almeno che io sappia, non ne ho. Non fumo (né sigarette, né canne, né altro) e non bevo alcoolici (non sono astemio, lo faccio per scelta personale), dato che sto benissimo così. Nell’ottica dei lettori e delle lettrici di estrazione hardcore/punk sono uno straight edge. Per gli altri/e spiego brevemente: lo straight edge, cioè letteralmente linea diritta, nasce come corrente di pensiero a inizio anni ottanta da parte di alcuni giovanissimi hardcorers di Washington D.c. che, stufi di vedere punks ubriaconi, tossici ed autodistruttivi, decisero di non bere, di non fumare e di non fare uso di droghe (un po’ il ragionamento che feci io a quasi vent’anni: ma se si seguono dei determinati generi di musica bisogna proprio comportarsi come da copione stereotipato?). Da allora si indica come straight-edgers chi fa le stesse scelte, in ambito Hardcore ovvio, dato che sono scelte fatte anche da moltissime altre persone, che manco sanno cosa sia ‘sto cavolo di hardcore!). Sono pure vegetariano, il che non significa che sia un fricchettone del cazzo con tendenze new age e magari pure tendenti al religioso (oltretutto mi ritengo un ateo agnostico), significa solo che mi piacciono gli animali vivi, e non da mangiare, punto (che le mie scelte non siano quelle di molti altri non implica che vorrei convertire chiunque mi passasse a tiro al vegetarianesimo o allo straight edge). Lavorativamente parlando, come scritto sulla mia carta d’identità, sono un artigiano edile. Tralascio le parti su musica, film, programmi tv e libri preferiti, per non cadere in uno sterile elenco di nomi e titoli…ne troverete abbastanza nelle pagine che seguono e capirete da soli/e quali sono le mie preferenze.