Lo sapete come e perchè nacque “Nessuno Schema”? Molti di voi penseranno ‘Non ce ne frega un cazzo, scrivi!’ (di musica) [versione del classico ‘Non ce ne frega un cazzo, suona!’, tante volte udito ai concerti quando il gruppo di turno cercava di spiegare il testo del pezzo che andava ad eseguire], io invece, che sono sicuro ci sia qualcuno/a a cui interessa, vado avanti! Novembre 1991. Il solito novembre altolombardo: umidità elevata, freddo già pungente, giornate spesso grigie e nuvolose e dalla lunghezza stile circolo polare artico…un mese che da sempre mi trasmette la stessa voglia di vivere di un disco dei Christian Death… È una sera come tante altre, la scena è la parte alta di Colico, la macchina è la mia 127 grigio metallizzata del ’77 (anno non casuale, mi sa!) e a bordo ci siamo io alla guida e Mauro come passeggero [qualche anno prima avevamo scoperto assieme il Punk ’77 (appunto!) e ci eravamo appassionati irrimediabilmente a bands come Clash, Sex Pistols, Sham 69, Adverts, Buzzcocks, Damned, Alternative Tv, U.k. Subs, Stiff Little Fingers, Chelsea, ecc.ecc. E intanto eravamo pure la sezione ritmica -lui basso, io ovviamente batteria- degli sgangherati punk-rockers altolariani Marones]. Sulla scalcinatissima autoradio sta girando il nastro di “Punk’s not dead” degli Exploited (ora, prima che vi stiate immaginando due punkettoni di provincia coi capelli tirati su col sapone e i giubbotti pieni di scritte ‘anarchy’, ‘fuck the system’ e tutto il campionario solito, sappiate che in realtà dovete pensare a due ragazzi vestiti in maniera assolutamente normale, anzi infagottati in pesanti giacconi invernali dato che il riscaldamento della 127 non funziona affatto. Mauro i capelli sparati in aria a dire il vero ce li ha, ma sono naturali, non gli sono mai stati a posto, neppure adesso nel 2013!) A un certo punto il mio socio mi guarda e mi dice: ‘Bisogna fare assolutamente o una fanzine o un programma radio”, “E ‘sti cazzi!” penso io girandomi verso di lui con aria interrogativa. “Sì” continua lui “tu che sai scrivere e conosci una marea di gruppi puoi fare o il fanzinaro o il deejay, io invece ti sto dietro come faceva Malcolm McLaren coi Pistols!”. Io gli rispondo che a fare il dj mi vergognerei come un ladro, oltretutto magari dovendo andare in una delle radio locali a elemosinare mezzora per mettere dischi che farebbero schifo ai più; però l’idea della fanzine, cavolo, quella sì che mi intriga! E qui devo aprire un armadio e tirar fuori uno scheletro nascosto da ben venticinque anni: nella primavera del 1988 mi era già venuta l’idea di fare una fanza, o meglio una mini-fanza di sole recensioni di dischi (ovviamente quasi tutti Heavy o Thrash Metal più una quota minima di Punk-Rock), sulla falsariga di “Metal Invaders”, la mini-zine gratuita redatta da alcuni eroi di Lecco che si trovava regolarmente nei negozi di dischi della città manzoniana (chissà che fine hanno fatto quei tipi? Uno, se non ricordo male, era il chitarrista degli Axton, band heavy/class metal che fece un paio di dischi a inizio anni novanta). E così il sottoscritto all’epoca quindicenne, nella sua cameretta, iniziò a battere a macchina il primo numero di “Aces High” (come il pezzo degli Iron Maiden, ovviamente). Non ricordo di preciso quali dischi avevo recensito (parola grossa), di sicuro c’erano ‘Under the sign of the black mark’ dei Bathory e ‘To Mega Therion’ dei Celtic Frost, perché li avevo comprati assieme in un’epica trasferta meneghina dell’estate precedente, poi c’era il grande classico ‘Never mind the bollocks’ dei Sex Pistols e mi pare anche ‘Dream evil’ di Dio. La fanzine comunque non uscì mai, forse con un minimo di buonsenso adolescenziale avevo capito che non era poi ‘sto granchè. E quindi il Discolandia di Lecco non vide mai “Aces High” fianco a fianco con “Metal Invaders”…peccato! Purtroppo (o per fortuna) non ho conservato le bozze, che ora come ora avrei una certa curiosità di vedere le cazzate che di sicuro avevo scritto! Però adesso, siamo tornati al 1991, qualche anno è passato, di dischi ne ho macinati parecchi in questo lasso di tempo, di riviste musicali ne ho lette a pacchi, di sicuro il mio modo di scrivere è migliorato (se a scuola c’era una materia in cui andavo bene quella era l’italiano…e anche, inspiegabilmente lo so, l’inglese, a dire il vero)…ok socio, ci sto! E mentalmente rispondo crassianamente “Yes sir I will”! Perché? Boh, penso perché mi è sempre piaciuto scrivere e inizialmente mi piaceva emulare i cosiddetti “giornalisti specializzati” (soprattutto di “HM!” e “Rockerilla”), sognando di poter, come loro, indirizzare i gusti degli appassionati di musica verso le bands a me più care e i dischi che più mi colpivano. Ovviamente ci vuole un nome per la nascente mini-fanza (si era pensato di partire coi classici quattro fogli in A4) e Mauro opta per “That’s Life” come il pezzo degli Sham 69. A me sta bene, che Jimmy Pursey & soci girano regolarmente sul mio stereo e spesso mi ritrovo a canticchiare fra me e me i ritornelli di pezzi come ‘Angels with dirty faces’, “Hurry up Harry” e la stessa “That’s life”. Il logo lo prepara Mauro: il nome fra due stelle copiate paro-paro dalla copertina di “Combat Rock” dei Clash, e fatto fare dallo stesso mio mentore all’altro socio Cotta col computer del Politecnico di Lecco. E io inizio a scrivere, o meglio, my god, a recensire. E recensisco quello che mi passa per le mani in quel preciso istante temporale, e cioè: Bathory “Twilight of the Gods” (lp fresco di stampa appena prestatomi dal Mirtillo, all’epoca il fornitore ufficiale Thrash/Death per la Bassa Valtellina e l’Alto Lario! E avere un altro disco della band del compianto Quorthon sulla ‘zine è il legame con la mai nata “Aces High”), Ritmo Tribale “Ritmo Tribale” (mini-lp che avevo comprato personalmente) e tre demotapes che mi ero fatto spedire dai gruppi (ovviamente pagandoli!): Extrema “Demo ‘91”, Senza Benza “I wanna pork!” e Androfobia “Dispersi nell’oblio”. In più mi accordo con Stefano “Concobeach” degli Atrox di Agrate Brianza per un’intervista via posta al gruppo; intervista alla quale risponde lo stesso Conco e che vien fuori decisamente bene, anche riletta oggidì (per merito delle sue risposte, che le mie domande non erano poi chissà che). A chiudere il numero una recensione di un live del nostro gruppo (i succitati Marones) assieme ai satanic-grinders lecchesi Genital Grinder (con Ghiulz futuro Profanatum e Bulldozer e Ale Azzali poi Mudhead e Burning Defeat), fintamente redatta da un ipotetico collaboratore esterno con toni assolutamente neutri (detto per inciso ventidue anni dopo: avevamo fatto schifo! E fra l’altro Mauro non aveva suonato quel giorno essendo al mare) e una serie di “annunci”, cioè delle notizie di uscite di dischi, ecc. copiate dai flyers che trovavo nei vari pacchi e pacchetti. Graficamente mi ero avvalso dell’aiuto del mio cugino acquisito (avevamo una zia in comune, ora purtroppo defunta) Teo Ruffoni, che aveva messo a mia disposizione il suo computer (che all’epoca possedevano in pochissimi) su cui battei il numero a velocità da bradipo in un paio di domeniche mattina con la convivente di allora (il cui nome ho scordato) del Teo che gentilmente mi portava caffè e biscotti. Poi col classico metodo del copia & incolla avevo appiccicato una foto dei Ritmo Tribale dal vivo, le copertine di Bathory, Extrema e Senza Benza, una foto dei Bathory in versione trio nelle selve svedesi e il logo dei Genital Grinder. Mr. P, il cantante dei Marones, me ne fotocopiò 150 esemplari nell’ufficio dove tirocinava allora e nel febbraio 1992 venne posata la primissima pietra dell’epopea della futura “Nessuno Schema”. E finalmente eccomi al Discolandia vicino a “Metal Invaders”! Mi sono un po’ dilungato su questo # 0 (già, perché fu il numero zero, non l’uno), lo so, però è un numero che nella sua ingenuità ha la sua magia, un po’ come il primo bacio, via! La mini-fanza piacque abbastanza in giro, calcoliamo che all’epoca era una cosa nuova specie per queste lande e che comunque c’era una gran fame di musica e di parole scritte a riguardo, per cui non è che il popolo andasse troppo per il sottile, però ricevemmo un bel po’ di consensi positivi. E lì Mauro McLaren mi disse “Ora non hai più bisogno di me. Questa è la tua strada figliolo, seguila!” indicandomi l’orizzonte con un gesto teatrale. No, non andò proprio così, ma il senso era quello, morale che mi ritrovai senza “manager”, ma ero un “man with a mission”, quella di andare avanti con quei quattro fogli. E allora nell’aprile 1992 ecco il numero 1 con intervista di due pagine ai prime-movers dell’Hardcore locale, i Carrions N.N., effettuata “live” al bar della discoteca Music People di Talamona, più un pugno di recensioni e annunci. Unica immagine il logo degli Anal Cunt in quarta pagina, che non mancò di scandalizzare qualche mente innocente (se siete curiosi/e, cercatevelo su internet). Stavolta 200 copie sempre fotocopiate da Mr. P. Inizio a spedirne dei mazzi fuori dalle lande locali: Vito della E.S.T. di Imperia e Chiara della Kontagio di Roma ne prendono dieci copie a testa. Ah, certo, la mini-zine è gratuita, ovvio. A giugno 1992 arriva il numero 2. Interviste a Testimonia (i prog-thrashers lecchesi, intervistati live in un baretto sul lago dal sottoscritto col suo registratorino) e Klasse Kriminale (concordata con l’Antonella, all’epoca chitarrista della band savonese, ma a cui rispose il Balestrino, dato che nel frattempo lei aveva lasciato band e Liguria per trasferirsi a Londra), recensioni di dischi e demos, annunci. Mr. P alla fotocopiatrice per l’ultima volta (fine tirocinio). L’estate ’92 porta, oltre ad una devastante vacanza nel sud della Spagna (i miei ultimi “eccessi” prima di diventare straight edge qualche mese dopo), un cambio di nome per la mini-zine. Sentendomi ormai parte della scena Hardcore italiana, nella quale stavo entrando sempre di più stringendo contatti a destra e a manca e frequentando concerti in giro per il nord Italia, optai per prendere in prestito il titolo di un pezzo degli aostani Kina, “Nessuno schema”. Mi pareva un nome appropriato per come intendevo far diventare la fanza negli anni a venire, cioè un contenitore in cui scrivere di tutto ciò che mi passasse per la mente, senza preclusioni di sorta, senza nessuno schema, appunto! E così nell’ottobre 1992 festeggio i miei vent’anni con l’uscita di “Nessuno Schema” # 3 (per la numerazione avevo deciso di tenere conto anche delle vecchie “That’s Life”). Piccolo inciso: questo # 10 festeggia quindi anche i vent’anni della fanza (ventuno, a dire il vero, uscendo nel 2013). Il giorno del mio ventesimo compleanno iniziò ad un concerto del 17 ottobre degli Youth Brigade (quella band Hardcore californiana composta da tre fratelli canadesi) in un Leoncavallo stracolmo, non certo per loro (c’era la festa per il diciassettesimo anniversario dell’occupazione), ma i tre fratelli Stern fecero comunque un concerto super, protrattosi ben oltre la mezzanotte e quindi entrando nel giorno del mio compleanno, il cui unico ricordo che ho al momento è quello di essere finito sotto circa una ventina di persone durante il classico “Sink with Kalifornia”! Ricordo anche che tornando a casa trovammo chiuse sia la superstrada sia la strada del lago causa frana e dovemmo salire in Valsassina per un giro terrificante che ci fece arrivare alle prime luci dell’alba…). Il nuovo logo me lo fa al computer lo Zonca (bassista dei Karsavina, e poi nel corso degli anni di Pubertas Morbegno, S.N.P. e Milaus), il pc con cui scrivo è ancora quello del Teo Ruffoni la domenica mattina col caffè e i biscotti che arrivano sempre puntuali, le fotocopie (100 esemplari) stavolta me le faccio da me! I contenuti sono ancora quelli classici: un’intervista ai locali Sessorale effettuata nella loro sala prove di Talamona, più recensioni e annunci. Nelle recensioni c’è il primo demo speditomi gratuitamente in cambio di una recensione, cioè “Farò del mio peggio” dei varesotti M.A.B. (prima i demo li compravo!), gruppo in cui anni dopo mi venne chiesto di entrare dato che Esther, la batterista e cantante, voleva dedicarsi al solo microfono e quindi abbisognavano di qualcuno dietro i tamburi…a malincuore dissi di no per la distanza e le difficoltà di raggiungimento di Varese e zone limitrofe (un tragitto più simile ad una punizione, che nemmeno l’SS più spietato avrebbe inflitto al più ebreo degli ebrei!). E adesso ero pronto per la prima prova sulla lunga distanza! Una fanzine vera e propria, non una mini! E inizio a scrivere. Recensisco dischi comprati, richiedo ai gruppi i loro demo in cambio di una recensione e in parecchi me li mandano (gli spezzini Fall Out, da anni fra le mie bands italiane preferite, addirittura mi mandano il loro secondo album in vinile e io da allora li adoro ancora di più), tanto che alla fine conto ben 35 recensioni, alcune scritte dai miei nuovi collaboratori (l’Alex, il Fabio Bonelli e il Rome Gianluca). Poi scrivo di concerti a cui sono stato, pubblico volantini anti-vivisezione ed animalisti in genere (anche se all’epoca non ero ancora vegetariano) e antimilitaristi (in quei mesi ero fra l’altro in ballo con la domanda di obiezione), comunicati dell’area anarco-libertaria, e butto giù uno speciale sulle distribuzioni indipendenti attive nella penisola (S.O.A., Blu Bus, Mister X, A.Z., Dumbo, ecc.). E poi le interviste: io ne faccio due entrambe via lettera, una ai Kina (ovvio! Dopo avergli “rubato” il nome della ‘zine…) e una ai Reig di Macerata (che mi risposero dopo ben otto anni dallo scioglimento! M’ero chiesto dove fossero finiti e per saperlo avevo provato a scrivergli). Alle altre pensano ulteriori collaboratori: il Botka (futuro Professor Botka) intervista i trentini Teatro Quotidiano in occasione della loro data morbegnese organizzata da me, dall’Alex e dal Fabio Bonelli, la Betty della fanzine lecchese “Hey bitch…” intervista gli statunitensi Down By Law prima del concerto al Bloom di Mezzago e infine il friulano Enrico della fanzine “Der Tod Verschont Niemand” intervista i suoi corregionali Mahima. In più metto la riproposizione di una volutamente demenziale intervista al Bellotti, batterista dei Carrions N.N., per il giornalino delle scuole morbegnesi, qui pubblicata sotto il titolo di “Niente resterà impunito” come facevano su “Cuore”. Provai anche a inviare delle domande a Gianmario Mussi dei Wretched (scioltisi alcuni anni prima pure loro), ma non mi giunse nessuna risposta…un colpo al cuore per un fan della band milanese come me, eheh! E infine c’era la sezione “annunci”, qui ribattezzata per la prima volta Flyers Zone, con ben dieci pagine di notizie Hardcore/Punk/Death/Black/Thrash/Metal! Stavolta a mettere a disposizione il computer è il succitato Zonca: quasi tutto lo trascrivo io, ogni tanto dà una mano lui che scrive più veloce di me e in un bel po’ di sere fra primavera ed estate 1993, fra lo stereo immancabilmente a palla e i gelati gentilmente offerti dai genitori del mio socio, riusciamo a completare il numero. Numero che esce a settembre: ben 92 pagine in formato A5, copertina (imbarazzante…non ve la descrivo, chi ce l’ha se la vada a rivedere e di sicuro concorderà con me) su carta rossa e il resto su carta giallo paglierino. Copia & incolla di articoli e immagini nel più classico stile “do it yourself”. Le fotocopie anche stavolta me le faccio da me (più d.i.y. di così…) con una vecchia fotocopiatrice da ufficio che si piantava ogni dieci fogli. Calcolate che il numero uscì in 133 esemplari, fate voi i conti del tempo impiegato e delle bestemmie proferite! Per la prima volta faccio pagare qualcosa e sono tremila lire. Fra copie regalate, copie alle bands in cambio dei loro lavori, copie scambiate e qualcuna pure venduta, in due o tre mesi il numero è esaurito. Intanto avevo conosciuto un capellone del paese dopo il mio (Nuova Olonio, che a dirla tutta non è un paese vero e proprio che fa comune, è una frazione di Dubino, ma tant’è…), che aveva iniziato a venire ai concerti locali grazie all’amicizia con l’Alex e che suonava il basso in un gruppo di Acid-Rock molto seventies-style con due figuri un bel po’ più vecchi di lui (la band si chiamava Cradlesound e nel ’96 farà uscire un bel 7” che se fosse uscito dieci anni dopo, in epoca di riscoperta dei suoni seventies, avrebbe di sicuro avuto maggior fortuna). Vista la vicinanza iniziammo ad andare ai concerti (quelli locali) assieme, prendendo una volta la macchina io (nel frattempo ero passato a una Fiesta furgonata a due posti, dopo che la 127 mi venne distrutta in un incidente fortunatamente senza conseguenze per me e il mio passeggero, lo Zonca. Ah, non era colpa mia, l’incidente), una volta lui. Ci trovammo subito su parecchie cose, soprattutto su quel “fine” umorismo dialettale tipico delle nostre zone! Marco, questo il suo nome, studiava da ingegnere delle telecomunicazioni, aveva un computer (cosa rara a quei tempi, viene da sorridere adesso a ripensarci) e lo sapeva pure usare come si deve! Fu quindi naturale per me chiedergli di darmi una mano col prossimo numero di “Nessuno Schema”. Inizialmente lui avrebbe dovuto solo fare il grafico e l’impaginatore, ma quasi subito decisi di tirarlo dentro idealmente come “socio al 50%”, anzi, 51% io e 49% lui, che alla fine la fanza era poi la mia! ;-). Prima però, a inizio ’94, in febbraio, faccio uscire un bollettone (6 pagine in A4) pieno zeppo di notizie ricavate dai vari flyers (i foglietti promozionali di bands, etichette e fanzines che trovavo nei vari pacchi e pacchetti che ricevevo da tutto il mondo), lo batto a macchina, lo chiamo “A Balla!” (nel senso di “a tutta velocità” o anche “al volo”, un’espressione abbastanza in voga nella scena locale di quei tempi), lo marchio col # 0 e ne fotocopio 200 copie con una fotocopiatrice più affidabile messa a mia disposizione proprio dal Marco. Nel frattempo per il # 5 di “Nessuno Schema” io avevo già un bel po’ di materiale, soprattutto interviste, molte redatte da me (ai Point Of View del Valentini, al Pomini per Fichissimi ed ‘abBestia!’ ‘zine, ai due mitici nerds di ‘Non ce n’è!’ fanzine, a Rudy Medea per i fu-Indigesti e Vacation House Records, ai Permanent Scar, ai centrolariani Potage e agli svizzeri Religious Overdose), più alcune (By All Means, Glacial Fear, Six Minute War Madness, Nuvolablu, l’etichetta Sterminio, più i Tagliamidettagli intervistati da un amico) che erano state condotte dal nostro collaboratore di Saluzzo (Cn), Franco Tivano (intervistato a sua volta da me per la sua attività di fanzinaro death/black metal con la passione per l’hardcore-punk). Il Professor Botka che all’epoca studiava a Pavia intervistò il Mila per i D.D.I. e la Irith per la distribuzione A.Z., un collaboratore campano che non vedremo mai in faccia ;-) si occupò delle interviste a Der Tod ed Istrales, un corrispondente spezzino mandò una dettagliata scene-report da La Spezia (città che, come bands e dintorni, negli anni è diventata piuttosto conosciuta ed importante a livello nazionale, ma che già allora aveva una scena mica male, Fall Out su tutti e dei Manges allora ancora a livello demo). Concedemmo poi spazio ai vari amici che avevamo conosciuto e stavamo conoscendo nel resto della penisola, come Gege Maggi e la sua distribuzione (e che spedì anche un articolo-attacco al formato cd), il friulano Enrico Saba coi suoi scritti politicizzati di stampo anarcoide, il Valentini stesso con la sua primissima column per ‘Nessuno Schema’ che negli anni lo vedrà sempre ospite fisso, l’abruzzese Max Spacca con la sua scelta di obiezione totale, il Mago Trippone della storica ‘zine ‘Trippa Shake’ dalla Toscana, la mia amica Barbara con un suo racconto, e altri ancora. Ci buttai dentro un discreto spazio anti-vivisezione, recensimmo tonnellate di dischi, nastri ed altre fanzines, sia le cose che arrivavano per questo scopo, sia quelle che scambiavamo in giro per l’Italia, sia quelle che compravamo e ci piacevano o di cui comunque ci piaceva parlare. E fino qui niente di particolare, la classica fanzine, un po’ provinciale, di quegli anni. Ma era proprio su quel provincialismo che volevamo spingere, datosi anche che fra di noi spesso parlavamo in dialetto o comunque usando parecchie espressioni e locuzioni dialettali, unendoci tematiche di cui difficilmente (se non proprio mai) si vedeva parlare su una fanza, specialmente di estrazione hardcore come era la nostra. Io scrissi un delirante articolo sul fatto che, al contrario della credenza popolare, non è che se suoni in un gruppo hai automaticamente schiere di donne ai tuoi piedi, almeno quassù nella più infognata provincia dell’impero! La column prese il titolo piuttosto diretto di Suonare=scopare? (il titolo lo ideò il Marco) e a tutt’oggi posso dire che se per me la seconda cosa fosse dipesa esclusivamente dalla prima, sarei ancora casto e puro, altrochè! (splendide fans dei Gradinata, siete sempre in tempo, eh ;-) ?). Il Marco disse la sua con uno strepitoso articolo intitolato L’anarchismo e il freno a mano, sulla filosofia delle gimcane con l’auto tanto care a noi ragazzi di provincia. I due reportages di due trasferte (una in Francia al seguito dei morbegnesi Caven che suonarono in un festival al centro del paese, denominata molto appropriatamente Allons enfants de la Valteline, e una ad Aosta ospiti di Gianpiero, il bassista dei Kina, chiamata Dalla Valtellina alla Val d’Aosta, sulla scia di Dagli Appennini alle Ande…) erano cose già più comuni e già lette/sentite, forse però senza quel divertito politically-uncorrect (anche se mi piacerebbe di più dire scorrect!) che permeava i nostri racconti. E le ispirazioni di allora, riguardo al modo di scrivere, erano molteplici, dalla quotidianità locale al gergo del bar a riviste musicali “da edicola” e ad altre fanze…un rielaborare vari stili e modi di parlare/scrivere secondo le nostre personalità. Poi l’introduzione dell’angolo della posta dei lettori, la Valmetal Mail (come la Metal Mail di “HM!”, il periodico heavy metal con cui entrambi eravamo cresciuti), con la finta lettera della ragazzina di 14 anni di Delebio che si era innamorata del muratore cinquantenne di Mello, l’apparizione dello pseudo-esperto The Alternative ’70 (ispirato ad un nostro conoscente) e il resoconto (inventato) di un incontro ravvicinato del terzo tipo in Costiera dei Cech di cui avrò modo di parlarvi meglio più avanti. E infine il colpo di genio (“Cos’è il genio? È fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione”, come diceva Gastone Moschin/Rambaldo Melandri in ‘Amici Miei’) che mi venne un pomeriggio domenicale in cui io e il Marco stavamo andando in giro con la sua Polo lungo la Costiera dei Cech: un gruppo black/death metal proveniente da quell’area! Creammo così i fantomatici Arcane Dubiners, ovviamente di stanza a Dubino, e inventammo un’intervista nella quale alle nostre domande, volutamente banalissime ed ingenue, rispondeva in dialetto il leader, autonominatosi l’Anticristu di’ Cech. Ecco, il fattore-Cech. Cech è l’appellativo degli abitanti di una particolare zona della Valtellina. Io e il Marco scherzavamo sempre sulle abitudini della gente di questi posti (schiettezza dialettale, culto dell’autovettura e del lavoro manuale, gusto per abbigliamenti bizzarri, maschilismo spinto all’estremo, femminilità decisamente ruspante, ecc.ecc.), ma nel contempo prendemmo i Cech come simbolo dell’identità locale che intendevamo trasmettere attraverso le pagine della ‘zine (l’idea di inserire questo particolare aspetto venne soprattutto dal mio ex collega Marco, per questo sul numero che avete in mano non ne troverete più traccia). E non va dimenticato che in quel numero iniziammo a sdoganare la passione per l’Heavy Metal in una scena nella quale, in quel periodo, dire di essere fans degli Iron Maiden era come ammettere di aver violentato un bimbo disabile. Andate un po’ a vedere come da lì in avanti quanti fanzinari e suonatori si riscoprirono fans del metallo pesante con cui erano cresciuti e che avevano abbandonato per via di qualche fondamentalista dell’hardcore-punk e le sue idee settarie! In copertina non sapevamo cosa mettere e come “working-image” avevamo piazzato una foto del padre del Marco, il signor Giorgio, vestito in pratica stile J.R. Ewing della serie “Dallas”. Questa copertina provvisoria rimase per mesi e alla fine ci affezionammo all’immagine, così che quando fu il momento di fare quella definitiva, il Marco inserì dietro alla foto una bandiera texana, gli piazzò sotto la scritta ‘Texas über alles! La nuova frontiera della “giustizia” targata U.s.a.’ e mise in bocca al padre un fumetto che recitava ‘ne cuperesi amò en paar!’ (trad. ne ammazzerei ancora un paio!); il tutto ispirato dall’ennesima friggitura sulla sedia elettrica di qualche povero cristo rivelatosi poi innocente, che in quel periodo era su tutti i giornali. Sopra campeggiava il nuovo logo con la a di Schema cerchiata, completato appena più sotto dalla scritta molto hardcore ‘non pagare più di 3.000 lire (se la trovate ad un prezzo maggiore, rubatela!)’ e la dicitura Anarco-demenzial-Cech-dialettal-Hardcore ‘zine di musica, costume e vita vissuta. Il tutto su carta giallo paglierino. Alla fine ci divertimmo come pazzi a compilare, secondo lo stile di quello sui dischi delle nostre bands preferite, la thanx-list e la greeting-list: in quest’ultima ci mettemmo in pratica chiunque conoscessimo, in certi casi anche solo per un saluto al bar, oppure gente che non vedevamo da anni. Se la metà di questi avesse comprato la fanza ce ne andavamo in vacanza un mese da signori, altrochè! La ‘zine (che aveva raggiunto la considerevole mole di 112 pagine in formato A5) la facemmo fotocopiare professionalmente a Milano, in una copisteria (chiamata Eliocenter) che aveva trovato il Marco (che all’epoca studiava nel capoluogo), di cui diventammo clienti fissi per anni fino al numero 9. Uscimmo nel marzo del 1995, avevamo stampato 500 copie che si esaurirono in brevissimo tempo: vendute, regalate, scambiate. Sull’onda dell’entusiasmo per un numero che era venuto fuori più o meno secondo le nostre aspettative ed era stato ricevuto alla grande dalla comunità hardcore-punk (e anche metal, in parte) italiana, ci mettemmo subito al lavoro sul numero 6, ma prima volevamo toglierci uno sfizio. Vi ricordate la lettera sull’incontro con gli alieni in Costiera? Ecco, quella lettera divenne il primo capitolo di un libro di 42 pagine intitolato “Star Cech – The Mell generation” (ovvia l’assonanza con Star Trek – The next generation. Mello è uno dei paesi principi della Costiera dei Cech), racconto di sci-fi (con omaggio lovecraftiano in un capitolo) in salsa Cech con protagonisti alcuni individui ben conosciuti qui in zona, seppure mascherati da un certo anonimato (mantenuto anche per noi autori, il libro infatti non è accreditato). Sulla copertina a colori, ideata dal Marco, campeggiava il logo di Star Trek nel cui cerchio era stato incastonato quello dell’Alfa Romeo, la marca automobilistica tanto cara al Cech-d.o.c.! Il libro, uscito nel luglio ’95, piacque abbastanza in giro e piacque moltissimo qui in zona, ovvio. Pensammo ad un secondo capitolo, ma prima c’era da lavorare al numero 6 di ‘Nessuno Schema’! Iniziammo a scrivere a settembre del 1995 e a Natale dello stesso anno eravamo già fuori con un botto di 104 pagine sempre in formato A5. Stavolta avevamo cambiato parecchio l’impostazione: niente più interviste, a parte una nuova e lunghissima all’Anticristu degli Arcane Dubiners che erano appena stati in tour norvegese e che avevano inserito in line-up un nuovo membro, solo columns (o articoli, per parlare come mangio) e poco altro. Io scrissi un lunghissimo articolo (Heavy Metal was the law) citando dischi minori del metal anni ottanta e in cui apparivo irrimediabilmente come un ultras metallaro, buttai giù una serie di mini-columns deliranti in cui dicevo la mia sia su argomenti collaudati come la commercializzazione del punk e di certo hardcore che era in atto in quel periodo, l’impostazione di certa stampa anarchica e ancora il ribellismo senza senso di certe frange di punks, ma c’era anche un tremendo Catholic bitches sull’ipocrisia delle ragazze oratoriane e infine partendo definitivamente per la tangente parlavo di sesso come deterrente per l’anarcoribellione. Il Marco aprì il numero con una sua column sui nuovi punks che stavano infestando i concerti e i modi comportamentali della categoria. Poi c’erano le pagine sportive, con l’Accademia del sottoscritto (sulla scia di quella storica di Gianni Brera), un’analisi socio-calcistica-politica del Marco e uno spazio sci alpinismo ad opera dell’Alex. Assieme allo stesso Alex raccontai brevemente i concerti dei Pubertas Morbegno (il gruppo in cui entrambi avevamo suonato fino a pochi mesi prima), io e il Marco parlammo dell’ultimo live organizzato dal gruppo di “promoters” (che mai ebbe un nome) io-lui-Alex-Bonello, quello di Point Of View e Derozer svoltosi sotto un diluvio di proporzioni bibliche, e redigemmo il report della trasferta a Saluzzo ospiti di Franco, in risposta al report dello stesso su quando mesi prima era stato ospite da me. Detto del report di Franco, fra gli altri collaboratori ci furono il Valentini e Gege Maggi con due ottime columns. Il Ferrarese di Voghera (che poi suonerà con Home Alone e Nerds) scrisse due articoletti a base di cinema horror, il Bregola dalla bassa mantovana mandò un racconto di punk-fiction, un amico brianzolo del Marco scrisse Lezioni di freno a mano, seguito di quel primo articolo sulle evoluzioni automobilistiche apparso sul numero precedente, e l’Olaf di Alpi in Resistenza ci diede un contributo di riflessioni su anarchismo ed antiautoritarismo per niente banale. Guadagnammo poi due nuovi collaboratori, in realtà inesistenti (eravamo noi a scrivere le loro columns), cioè il già noto ai lettori The Alternative ’70, che scrisse una storia dell’hardcore-punk piena di strafalcioni terrificanti, e l’esordiente Mello Biafra, veterano della scena locale. Il “paginone centrale” era occupato da L’Eco della Valle, raccolta di segnalazioni di notizie ed uscite disco/demografiche di bands locali. Inserimmo una marea di reports di concerti e trasferte varie, oltre ovviamente a quintalate di recensioni. In copertina (su carta verde chiaro), ancora una volta, il sig. Giorgio (ormai divenuto una sorta di Eddie, la mascotte degli Iron Maiden), stavolta impacchettato con fiocco natalizio in testa all’interno di una palla da albero di natale e con la scritta ‘auguri’ vicino; ovviamente un fotomontaggio, ma il nostro “modello” la prese sul ridere quando vide l’opera (il padre del Marco è defunto nel 2003, dovunque sia finito gli mando un abbraccio). Stavolta uscimmo come Anarco-demenzial-Cech-dialettal-Hardcore-death-to-false-Metal ‘zine di musica, costume e vita vissuta. Questo numero (tirato in 600 copie ed esaurito in tre mesi, ed erano tempi di posta normale, con internet in un mese massimo sarebbero sparite tutte) ricevette un’accoglienza spropositata per essere il prodotto di due ragazzotti di provincia senza troppa arte né parte alla fin della fiera. Negli anni a venire alcuni diranno che i numeri 5 e 6 di ‘Nessuno Schema’ sono stati qualcosa che non si era mai visto in ambito fanzinaro qui in Italia, altri scriveranno sulle proprie fanze di aver apertamente tratto ispirazione da quei due numeri della nostra ‘zine…beh, per me è qualcosa di cui possiamo andare orgogliosi, significa che quantomeno tutte quelle ore spese in “redazione” (la camera del Marco) non sono state buttate nel cesso. Ancora oggi leggo interviste a gruppi attuali sopravvissuti ai 90’s o a nuove bands però formate da gente già attiva all’epoca e in molti dicono che ogni tanto rileggono con estremo piacere le vecchie ‘Nessuno Schema’, dai Marco qualcosa di decente alla fine l’avevamo poi fatto, pare, o no? ;-). Novembre 2012: Nuova Olonio, sto percorrendo la statale, sulla sinistra c’è una casa rossa a tre piani completamente ristrutturata negli ultimi anni. Mi sale un velo di commozione, quella era la casa dei genitori del Marco (la madre si è poi trasferita) e lì c’era la redazione di ‘Nessuno Schema’, i numeri 5 e 6 sono stati tutti battuti ed assemblati lì (7 e 8 solo in parte, il 9 fra Colico ed Helsinki), con la sciùra Gianna (la mamma del mio socio) che ci portava caffè, biscotti e fette di torta, mentre lo stereo pompava sempre dischi hardcore o metal e spesso io dettavo e il Marco batteva al computer per guadagnare tempo. Quante sere, quanti sabati e domeniche pomeriggio lì dentro, fra riflessioni serie alternate a volgarità da bar di paese nelle pause dal lavoro. In quei mesi eravamo lanciatissimi, sinceramente non so dove trovassi il tempo per scrivere, ma il fatto è che, con l’energia tipica dei ventitre anni che avevo, sfruttavo soprattutto quel momento pre-serale in cui si rientra a casa dal lavoro. Calcolate poi che dovevo prima scrivere su carta e solo dopo battere o dettare al computer a casa del Marco (lui almeno aveva la possibilità di scrivere direttamente sul pc, ma in realtà ricordo parecchi fogli di brutta scritti a mano che mi faceva vedere la sera quando ci si trovava al bar). Comunque, arrivavo a casa dal lavoro e pochi minuti dopo ero già buttato giù per terra sulla moquette (io ho sempre trovato più comodo scrivere così, lo ammetto. Anche Joe Strummer scriveva in questo modo, pare) con una penna in mano e un foglio davanti, con lo stereo perennemente sintonizzato su hardcore, punk o metal. Un’ora, un’ora e mezza di scrittura pressochè ininterrotta, fossero columns o recensioni: ‘Nessuno Schema’ 5 e 6 (oltre a quelle “soliste” precedenti), riguardo alle mie parti, le ho scritte così per il 98%! Non tutti i giorni, ovvio, il più delle volte quel tempo post-lavoro lo sfruttavo per smistare la posta degli Eternit, dell’etichetta/distribuzione e della stessa fanzine. Nei weekends ricordo che si deputava o il sabato pomeriggio o la domenica sempre pomeriggio a, come diceva il Marco, “fare fanza”, il che voleva dire lavorare assieme, cosa che, nelle settimane immediatamente precedenti l’uscita di un numero, significava spesso sia sabato che domenica oltre a qualche sera infrasettimanale. In pratica in quegli anni io lavoravo per il 70% del mio tempo, dormivo per il 10% e il restante 18% era dedicato a fanza/gruppo/etichetta-distro e cose ad essi correlate. Già, manca un 2%, in quello andavo a giochicchiare a calcio ogni tanto e mi facevo la mia indegna vita privata. Probabilmente il fatto di non aver avuto in quel periodo una morosa (e nemmeno uno straccio di ragazza non-fissa, tolte un paio di situazioni ‘blitzkrieg’) mi lasciava parecchio tempo da dedicare alla ‘zine, però, alt, pure adesso sono nella medesima situazione, ma tutto ‘sto tempo non mi sembra di averlo! Ok che adesso la mia giornata lavorativa spesso termina ben oltre le 19 e quasi sempre mi lascia addosso troppa incazzatura per mettermi lì a scrivere, ma la realtà è che allora c’era la fiamma della passione per certe cose che bruciava indomita, adesso invece c’è solo il fuocherello che cova sotto la cenere, che non muore mai, ma che è solo il pallido ricordo del falò di quasi vent’anni fa ormai… Eravamo lanciatissimi dicevo, e in effetti dopo questo # 6 il prossimo passo doveva essere il seguito di “Star Cech”. Avevamo già buttato giù un canovaccio: stavolta i nostri eroi se la sarebbero vista con le divinità del pantheon nordico in un folle mix fra film come ‘Erik il vichingo’ (grandiosa pellicola dell’ex Monty Python Terry Jones, con fra gli altri uno strepitoso John Cleese, altro ex Monty, il cui spirito permea l’intero film), pezzi come “Thor the powerhead” dei Manowar, e l’atmosfera di un’osteria della Costiera dei Cech. Una domenica pomeriggio in giro senza meta in macchina avevamo ideato praticamente tutta la storia, scrivendo su un bloc-notes tutte le idee per i vari capitoli. Purtroppo però, nei mesi a venire, complici le registrazioni del 7” degli Eternit e tutto il lavoro di grafica, burocrazia, ecc. che c’era da fare, mettemmo provvisoriamente in un cassetto il progetto, e mai più lo abbiamo ripreso in mano! Peccato, non sarebbe stato un brutto libercolo, và! Con l’autunno ’96 stabilimmo che era giunto il momento di iniziare a lavorare su ‘Nessuno Schema’ # 7: partiamo col solito sistema collaudato, poi un giorno poco prima di natale mi telefona il Marco dicendomi che è successo qualcosa di molto brutto. “Chi è che è morto?” rispondo io. “Nessuno” ribatte lui “o meglio, è morto il motorino del disco fisso del computer”. Fu come se mi avessero strappato gli intestini con una mano, come si fa alle trote prima di friggerle: su quel computer c’era tutto quello che avevamo scritto fino a quel momento, cioè il 40% del numero in lavorazione, e non avevamo salvato nulla, nemmeno un misero floppy-disk. Ci trovammo la sera, recuperare il tutto era impossibile, se non spendendo qualche milioncino di lire, per cui ci guardammo in faccia e decidemmo di rifare tutto da capo! Fortunatamente non buttavamo mai i fogli di brutta fino a fine numero e questo ci permise in alcuni casi di dover solo riscrivere articoli e recensioni cercando solo di ricordarci delle aggiunte che avevamo fatto in sede di battitura la prima volta. Altre cose però erano state scritte direttamente al pc e vennero quindi rifatte totalmente ex novo. Nel frattempo il Marco aveva acquistato un nuovo pc e quello vecchio riparato venne dato in consegna a me: avrei potuto lavorare anche da solo alle versioni definitive degli articoli e delle recensioni, ottimizzando quindi i tempi di recupero. Io ero abituato alla macchina da scrivere ed era dai tempi del pc dello Zonca (‘Nessuno Schema’ # 4) che non utilizzavo un computer, ma mi sentivo in paradiso: come scrisse Stephen King a proposito del suo primo word-processor, anche per me era miracoloso poter cancellare errori o frasi che non mi soddisfacevano solo premendo un tasto e senza dover ricorrere al bianchetto! Va detto che scrivevo a una velocità da bradipo cannaiolo e usando quasi solo il dito indice della mano destra, quindi ci mettevo secoli a completare gli scritti, ma era già un passo avanti rispetto al passato. Ora della fine dell’assemblaggio di questo # 7, comunque, mi ero velocizzato parecchio, a volte usavo anche la mano sinistra, addirittura! ;-) Essendo la settima uscita (in realtà l’ottava, visto il # 0, ma non sottilizziamo), avevamo deciso di adottare un’ispirazione maideniana: infatti il settimo album degli Iron Maiden (uscito nella primavera dell’88) si chiamava “Seventh son of a seventh son” (e oltretutto era un concept-album, con i testi dei vari pezzi legati fra loro al fine di narrare una storia), un titolo perfetto per il nostro settimo capitolo. La copertina avrebbe dovuto essere proprio quella di quel disco, con il volto del signor Giorgio al posto di quello di Eddie, ma i tentativi che facemmo in quell’epoca ancora primordiale per quanto riguarda la grafica (almeno quella accessibile a noi) non ci soddisfacevano per nulla, e alla fine pubblicammo il numero con Eddie al posto di Eddie. I caratteri del logo Nessuno Schema vennero mutati nei caratteri del logo degli Irons, il colore della copertina era l’azzurro chiaro come quello della copertina dei Maiden stessi, e sul retro campeggiava il testo dell’outro di quel disco (quello ‘seven deadly sins, seven ways to win, ecc.ecc.’). Vennero fuori 112 pagine nel solito formato A5, 600 copie (numerate per l’occasione!) anche stavolta, tutte sparite in tempi brevissimi. Come contenuti c’erano una mia column pericolosamente svarionante sull’emo(zionale) anche se abbastanza autoironica, un mio lungo report di tutti i venti concerti degli Eternit (gruppo in cui suonavamo sia io che il Marco) effettuati fino a quel momento (intitolato From here to Eternit), la prima apparizione della rubrica NS Relics (cioè uno spazio dove rispolverare gruppi e/o personaggi storici della scena locale del passato) con una mia retrospettiva sui Sagatrakavashen (la black metal band tiranese di fine 80’s) e lo Speciale Costiera con le (finte) bands nate sulla scia degli Arcane Dubiners: interviste (tutte legate fra loro, con aneddoti che si intrecciano) ai grezzissimi black-thrashers Morbid Impalator (incapaci di parlare in italiano corretto, figurarsi in inglese!), ai krishna-hardcorers Tantra (formati da un fuoriuscito dagli Arcane Dubiners convertitosi alla religione krishna) e soprattutto alle Figa De Ferr, un quartetto di ragazze decisamente sboccate e dalle attitudini sessuali parecchio promiscue, che suonavano un pop-indie-punk con irruenza quasi hardcore. Quest’ultima creazione fu un colpo di genio vero e proprio di cui parleremo dopo. Poi c’erano un divertente articolo del Marco sul satanismo, un mio report dell’agghiacciante capodanno 96/97 e tre recensioni di concerti (di cui due ad opera di un “bergonzoniano” Alex). L’inesistente collaboratore The Alternative ’70 stavolta scrive del suo viaggio negli States, dove, assieme al suo fido compare di concerti, incontra parecchi grossi nomi dell’hardcore mondiale e tromba pure (da lì il titolo Porn in the U.s.a.), mentre nella Valmetal Mail una lettera di uno dei protagonisti di “Star Cech” preannunciava il secondo capitolo della saga-cech, libro che, come avrete letto più sopra, non uscirà mai. Poi le collaborazioni (vere): fra i recensori “assumemmo” per la prima volta il Diego dal vicino paese di Verceia (all’epoca batterista dei Pape Satan, negli anni a venire, fra le altre cose, anche fondatore/ideatore del nome/primo cantante dei Gradinata Nord), mentre il Valentini con lo pseudonimo Doc. Failure stroncava irrimediabilmente i dischi delle bands italiane che andavano per la maggiore in quel momento (solito intento ironico da parte sua/nostra, ovviamente travisato il più delle volte…). C’era la traduzione di una lunghissima retrospettiva sui Crass scritta dalla band stessa (gentilmente donataci dall’Olaf di Sondrio e che sarebbe dovuta apparire nell’87 su un numero della fanzine “Dianoia” mai uscito), una doppia column di un Valentini in forma strepitosa (roba che il nostro dovrebbe assolutamente ripubblicare sul web) e fa la sua apparizione un giovane Bassman che, assieme a due suoi soci, firma un breve e delirante articoletto intitolato Putantour ’95, il cui contenuto potete bene immaginare! Altri collaboratori furono il valdostano Giampaolo Ducly di Cornucopia/Molto Rumore Per Nulla che scrisse delle amare riflessioni generali su tutto ciò che ci circonda, il varesotto Ricky “il profeta” Fossati che tirò vergate verbali a destra e a manca su svariati elementi della scena italica, il toscano Alberto Mignetti che parlò dei problemi legati alla sua distribuzione autogestita e il veneto Mauro Flora che spedì un dettagliato articolo sul boicottaggio dei prodotti delle multinazionali che sfruttavano (e sfruttano tuttora, ovvio…) persone, animali e natura. C’era anche una vignetta della nostra disegnatrice (autrice anche dei loghi delle tre bands finte), l’Eleonora (all’epoca per qualche tempo morosa del Marco), con protagonisti io e il mio socio in redazione la domenica pomeriggio e coi testi dei fumetti (questi ideati da noi due) che crearono qualche polemica per la frase “ebrei di merda” riferita al Milan (e all’insulto comunemente rivolto ai suoi tifosi e di cui ignoro i motivi) che per l’occasione prende gol dal Genoa (la mia seconda squadra); frase che, lo ammetto, inserimmo volutamente per vedere se qualcuno avrebbe detto qualcosa a riguardo, cosa poi puntualmente avvenuta! Fra l’altro la voce che da San Siro annunciava il gol dei rossoblu genovesi era idealmente quella del grande Ezio Luzzi, radiocronista di Tutto il calcio minuto per minuto, nostro mito fin dal ’94 quando le domeniche pomeriggio in redazione ascoltavamo la radio e il nostro interrompeva le radiocronache delle partite di cartello della serie A con degli interventi interminabili tipo “attenziooone! sono Luzzi, intervengo per annunciaaaare che il Catanzaaaaro ha ridotto le distanze contro il Barleeetta ed ora il risultaaato è di Barleeetta 4-Catanzaaaaro 3, per le reti di ecc.ecc.ecc.” il tutto con il suo inconfondibile accento strascicato, per poi replicare un minuto dopo con “attenziooone! Sono nuovameeente Luzzi, intervengo per segnalaaare che il gol del Catanzaaaro è stato annullaaaato e quindi il risultaaato rimane quello di Barleeetta 4-Catanzaaaro 2”. Credo l’avessimo “scoperto” prima noi della Gialappa che, in occasione di alcuni Mondiali ed Europei commentati in radio, schierava uno strepitoso imitatore di Luzzi (che fra l’altro ho visto, l’originale intendo, per la prima volta in faccia recentemente su Raisport, ottantenne e in splendida forma!). Ben 41 pagine (ripeto, 41!) erano occupate dalle recensioni di dischi, demo e fanze, al 99% materiale speditoci apposta per essere recensito e da cui quindi non potevamo scappare…a fine numero eravamo prossimi all’esaurimento nervoso! ;-) Le Figa De Ferr (locuzione dialettale che sta per “puttana”; significa letteralmente ‘figa di ferro’, cioè ‘figa molto resistente’, ad indicare quindi una ferventissima attività sessuale da parte delle componenti della band). Come promesso più sopra, ritorno sull’argomento. Per ogni finta band che creavamo, cercavamo sempre un amico che mettesse a disposizione il proprio indirizzo di casa (erano tempi di posta normale, non di posta elettronica) come contatto. Ogni gruppo aveva il suo recapito, agli Arcane Dubiners giunsero due o tre lettere di giovani fanzinari black/death che chiedevano materiale (cosa abbastanza normale), a Morbid Impalator e Tantra credo non scrisse mai nessuno, ma alle Figa De Ferr, beh, scrissero eccome e telefonarono pure! L’indirizzo delle FDF era quello di una nostra amica che rimarrà anonima, ovviamente. Le arrivarono parecchie lettere, un paio erano di normali fanzinari incuriositi dal gruppo, altre dietro un falso interesse musicale celavano in realtà mire sessuali nascoste a fatica, altre ancora andavano direttamente al punto vantando misure falliche equine e prestazioni con tempi di durata tipo turno in fabbrica. La lettera migliore però arrivò da un paese vicinissimo e fu quella di una ragazza che velatamente proponeva a quella che lei pensava essere una delle FDF un incontro fra loro due sole in cui magari si poteva provare a fare qualcosa lesbo in maniera soft (questo perché nell’intervista la band sbandierava la propria bisessualità)… Solitamente alle lettere rispondevamo facendo scrivere la nostra amica per avere la calligrafia femminile, ma a questa non rispondemmo mai; ricordo che colei che resterà anonima mi disse “no no, io quella la conosco di vista, se poi mi arriva a casa cosa le dico??”. E poi la telefonata, quella di un gruppo di baresi (che erano andati a cercarsi il numero!) a cui rispose la madre della nostra amica (la quale non era in casa); i pugliesi equivocarono e, pensando di avere a che fare con la componente delle FDF, la coprirono di irriferibili proposte a sfondo sessuale finchè la signora non riattaccò inorridita. Il numero sette (che uscì nel luglio del ’97, sempre a 3.000 lire) ebbe un buon successo, forse però non a livello del numero sei, era in atto un cambio generazionale nella scena hardcore-punk e la stessa si stava espandendo in ambiti che né io né il Marco sentivamo più nostri. Detto questo, come scritto sopra, le 600 copie andarono via senza problemi in poco tempo e guadagnammo comunque qualche nuovo fan (o, come preferisco dire io, qualche nuovo amico). Sì, amici, perché di amiche con la fanza non è che ce ne fossimo fatte molte (e vi prego di considerare quel ‘fatte’ nella sola accezione dello stringere un’amicizia e non in quella sessuale, perché da quel punto di vista è meglio lasciar perdere…), per lo più qualche ragazza che faceva a sua volta una fanzine (e visto che molti di voi che leggete starete pensando ‘chissà che cessi’, pensate male perché certe fanzinare dell’epoca erano invece ragazze decisamente carine) incontrata in giro per l’Italia. Però, mi sovviene ora, ci fu un’eccezione. Fu quando mi scrisse una ragazza emiliana che era rimasta colpita da “Nessuno Schema”, specie da quello che scrivevo io, e da una mia foto che aveva visto su un’altra fanza (credo “Yops!”, quella fatta di sole fotografie assemblata dal Fornaca) dalla quale pensava fossi molto carino (non sono bello, piaccio. Come diceva Jerry Calà in “Vacanze di Natale 1983”). Le sarebbe piaciuto che ci vedessimo e a questo proposito allegava una sua foto, ed in effetti lei sì che era carina, altrochè. C’era solo da spingere il pallone in porta da neanche un metro, ma io come un Livaja qualsiasi (riferimento al recentissimo Inter-Genoa) invece di fare gol lo buttai malamente sul palo, rispondendole che sì la trovavo molto carina, che la ringraziavo dei complimenti, ma che eravamo troppo distanti per vederci con costanza e che quindi era meglio evitare. Non so cosa avessi avuto in testa quel giorno di metà anni novanta, forse le scimmiette con l’organetto come Homer Simpson. Negli anni a venire avrei frequentato ragazze che abitavano anche al quintuplo della distanza di quella in questione (e, lo dico con malcelato orgoglio, sempre conosciute on the road e mai su internet!), eppure mai grazie a “Nessuno Schema”. Per cui, ragazza emiliana di quel tempo che fu, se leggi, perché non ci riproviamo adesso? Sicuramente sei diventata una splendida “milf” ;-). Dai, sto scherzando. I nostri “fans”, comunque, erano i classici die-hard fans delle fanzines, cioè quelli che, come molto argutamente scriverà il Timpani sulla sua “Hopes Of Harmony” (una delle più belle fanze italiane dei primi duemila), sono “dei fanatici psicopatici hooligani misantropi”. Niente di male eh, anch’io mi riconosco nella categoria! Rileggendo ora queste prime ‘Nessuno Schema’ fatte assieme al Marco (taccio di quelle pioneristiche redatte da solo!), alcune cose le trovo ancora davvero geniali, ma molte altre mi sembrano sciocche ed ingenue, e lo sono! In fin dei conti si tratta di tre numeri creati da due poco più che ventenni, per un pubblico fra i quindici e i venticinque anni, massimo trenta, via! Ovvio che adesso io, a quaranta, non possa vederle come le vedevo all’epoca, né come le vedevano i miei giovani lettori, ed è giusto e sacrosanto che sia così. E qui finisce la seconda parte dell’avventura di “Nessuno Schema” (la prima era stata quella in cui agivo da solo, ovvio), cioè gli anni vissuti assieme al Marco qui sul territorio. Sì, perché nel settembre di quel 1997 il mio socio si trasferì nella lontana Finlandia per motivi di studio pre-laurea. Inizialmente avrebbe dovuto rimanerci solo un annetto scarso, poi i casi della vita fecero sì che da lassù non si sarebbe più mosso avendo trovato in un sol colpo sia un lavoro stabile, sia la ragazza che diventerà poi sua moglie. Ma questo in quella lontana estate (l’estate in cui Ronaldo approdò all’Inter) non potevamo ancora saperlo e decidemmo che avremmo occupato quell’anno lavorando su un progetto che avevamo in cantiere da tempo: una fanza divisa a metà con la fanzine del Valentini, “Shove”. Ciò avrebbe significato meno pagine, costi divisi a metà, distribuzione idem, per cui un impegno meno gravoso del solito e quindi sostenibile anche stando io e Marco a duemilacinquecento chilometri di distanza l’uno dall’altro (più i duecento che separano Colico da Alessandria, città del Valentini). Avremmo scritto qualcosa ognuno per conto suo coi rispettivi computers (il “mio” era sempre quello lasciatomi dal Marco), poi il mio socio, quando sarebbe rientrato in Italia ad inizio estate ’98 per laurearsi, avrebbe impaginato il numero che si pensava di far uscire entro agosto. Andò via tutto liscio come previsto, ci fu solo qualche lieve ritardo da parte del Valentini (che in quel periodo lavorò per qualche mese in Inghilterra), per cui l’uscita del numero slittò ad ottobre. Della stampa se ne occupò il Marco nella solita copisteria milanese di fiducia. Stavolta il formato era in A4, il nostro “lato” metteva assieme 23 pagine, quello del Valentini ne contava 15, per un totale quindi di 38. Doppia copertina, ovviamente; sulla nostra campeggiava un’immagine di Trapattoni a bordo campo nell’atto di dare indicazioni a qualche suo giocatore e a cui noi avevamo aggiunto il fumetto “2.500 lire, Strunz!” (in riferimento alla mitica conferenza stampa in tedesco del Trap e alla parte in cui si accaniva sul centrocampista Strunz, appunto). Il sottotitolo era diventato “sempre anarco-ancora più demenzial-un po’ meno Cech-moderatamente dialettal-rigorosamente Hardcore-ovviamente suomalainen-orgogliosamente death-to-false-Metal ‘zine di musica, tanto calcio, poco sesso, tentativi di costume e vita vissuta quanto basta” (dove ‘suomalainen’ sta per finlandese, visto il suddetto soggiorno nordico del mio socio). All’interno noi partivamo con il mio Diary Of A Madman (una specie di diario di bordo del viaggio per l’assemblaggio del numero, con qualche digressione qua e là), poi c’era un pezzo decisamente emo(zionale) del Marco intitolato Questi anni…, seguito da uno mio (The Past Is Alive) rimembrante l’inverno 87/88 rapportato a quello di dieci anni dopo (nelle intenzioni doveva essere il mio “top” a livello di scrittura, nei risultati non venne fuori come volevo, ma tant’è…). Poi le solite recensioni (numero ridotto, ma una quarantina fra dischi, demo e fanze, c’erano comunque) a cui aggiungemmo le nostre due top-5 sui dischi che più ascoltavamo sulle rispettive autoradio, con relativi approfondimenti, ovvio. C’era poi il Cruciverba di Nessuno Schema, con quesiti orizzontali e verticali ispirati da scena hardcore italiana, musica heavy metal e panorama calcistico internazionale. E ancora la seconda puntata di NS Relics, in cui stavolta raccontavo la tragicomica avventura del mio primissimo gruppo, i Marones. Un altro mio articolo criticava poi l’incompetenza di molti/troppi giornalisti musicali della stampa specializzata ponendone in evidenza le evidenti lacune conoscitive. A chiudere la solita Valmetal Mail (con, fra le altre, una finta lettera che una mia amica non mi ha mai perdonato del tutto, lo so!) e il Nessuno Schema Name Awards ’98 in cui un quartetto di finti ‘scenesters’ della Costiera dei Cech (il solito Mello Biafra, più Tim Baraiolo, Larry Baraglia e Kent Tarca. Noterete i nomi propri che sono quelli di illustri esponenti del panorama fanzinaro hardcore statunitense) elegge il peggior nome di gruppo e fanzine fra quelli recensiti (per la cronaca, vinsero la band toscana Verde Matematico e la ‘zine sarda “Sheena’s zinne”). Unica collaborazione (a parte una recensione dello spezzino Max Sandal) una column a sfondo psico-sociale del ceco trapiantato a Trieste Zdenek Nevelik, ovviamente da noi ribattezzato “Zeman”. Lato “Shove”, che dire? Gente, le pagine del Valentini erano, come sempre, tutte da leggere e rileggere più volte, stop (amicizia a parte, io di Andrea leggerei con piacere anche la lista della spesa, come si dice in questi casi!). Mi piace comunque molto il fatto che i due “lati” abbiano delle grafiche parecchio differenti e che si capisca quindi dove finisce una fanza e dove inizia l’altra; lo dico perché negli anni ho visto spesso split-‘zines probabilmente scritte su un unico computer e che quindi rendeva le due fanzines indistinguibili fra loro, almeno a prima vista. Mi sembra che stampammo 300 copie di quel numero, 150 le distribuimmo noi e 150 il Valentini. Qualcosa di questo # 8 (intendo le cose scritte da me) inizia oggidì a sembrarmi meno ingenua e quindi mi imbarazza un po’ di meno ;-). Quasi assieme a questo numero (e a cui spesso venne allegato) nel novembre del 1998 ritorna “A Balla!”, stavolta 4 pagine in formato A5, redatte ancora una volta da me soltanto (era un po’ il mio “progetto solista” su carta). Questo # 1 (c’era lo 0, ricordate?) era fatto di sole recensioni (diciannove in totale, di vinili, cd’s, demos, tapes e fanzines), dato che il flusso di materiale a scopo recensione che arrivava in redazione (ora trasferita a casa mia, dato che il Marco ormai viveva all’estero) pareva interminabile e volevo starci al passo recensendo i vari lavori in tempi decenti. Il bollettino (-ino stavolta vista le dimensioni ridotte) lo dedicai alla memoria del grandissimo Gigi Reder, l’attore famoso per il ruolo del rag. Filini nella saga fantozziana, scomparso nell’ottobre di quel ’98. In quegli anni scrissi spesso articoli per altre fanzines (italiane ed estere), qualcosina per dei giornali a livello locale, qualcosa anche per dei magazines da edicola, ma sinceramente non ho voglia di andare a cercare queste pubblicazioni (sempre che poi le abbia conservate tutte!). Si trattava comunque di recensioni di dischi, qualche scene-report locale, due o tre interviste, dei reportages da concerti, cose così, niente di che. Magari qualcosa vi può ancora casualmente capitare in mano. Ah, ovviamente, tutto rigorosamente e giustamente “aggratis” (al massimo mi venne dato qualche disco, generalmente orrendo, da recensire…)! Nell’estate 1999, col Marco ormai a radici saldamente piantate nella cosiddetta Terra dei Mille Laghi (ne approfitto per ricordare a tutti/e che discone fu quel “Tales from the thousand lakes” dei finnici Amorphis, che uscì nell’ormai lontano ’94) e durante una sua visita ai genitori quaggiù nella Terra dei Mille Stronzi (che in realtà sono molti di più…), decidiamo che è giunto il momento di lavorare al # 9, numero che avremmo scritto separatamente: lui ad Helsinki, io più modestamente a Colico. Assemblaggio finale e grafica l’avrebbe ovviamente curata il Marco, il viaggio Colico-Milano a portare il “master” in copisteria e quello Milano-Colico qualche giorno dopo a portare a casa le copie del numero finito sarebbero toccati, per la prima volta in solitaria, a me (ricordo che il primo viaggio l’avevo fatto col camion, dato che avevo la macchina dal meccanico). Adesso avevo anche un nuovo computer, scelto per me dal Marco all’Iperal di Piantedo ed installatomi a casa dallo stesso mio socio un sabato pomeriggio di quell’estate di fine millennio. Internet non l’avevo ancora, inizialmente non ero nemmeno molto propenso a collegarmici (solito atteggiamento contro le novità tipico del sottoscritto che è old-school nel cervello!), poi nei primi mesi del 2000 l’allaccio mi venne quasi imposto dal Marco per poter lavorare più agevolmente sulla fanza scambiandoci le idee e sottoponendo l’uno all’altro i propri scritti in tempo reale. Il collegamento internet me lo effettuò il Mauro (tornare all’inizio di questa story), anche nell’epopea di “Nessuno Schema” il passato ritorna ;-). Quell’inverno vado per la prima volta ad Helsinki a trovare il Marco che mi ospita a casa sua (con somma gioia della futura moglie, che per una settimana dovette sopportare un disgraziato a dormire sul divano in maniera svaccata e scomposta con addosso soltanto un paio di mutande e una maglia dei Sadistik Exekution, quella di ‘We are death fukk you’ ovviamente), lui di giorno lavora e la sera uscirà solo nel weekend, per cui per gran parte del mio soggiorno finnico giro a piedi da solo e mi vedo praticamente tutta la città di giorno, oltre a finire almeno un paio di volte in situazioni decisamente da Continental a.k.a. Pulverùn (il paragone è comprensibile ai soli lettori e lettrici locali) durante la Helsinki nightlife! Ma torniamo al # 9 e al suo assemblaggio da parte del sottoscritto, il quale, lasciato da solo in preda ai suoi semi-deliri, iniziò la rotta verso quell’idea di fanzine che avevo in mente dai tempi in cui il nome era diventato ‘Nessuno Schema’ (come ho già scritto più sopra, quella di un contenitore in cui scrivere di tutto ciò che mi passasse per la mente, senza preclusioni di sorta, senza nessuno schema, appunto). Quindi a fianco di articoli abbastanza classici (vedasi a inizio fanza sette pagine di riflessioni sulla scena Hardcore dell’epoca e più avanti otto dedicate al mio modo di vivere e vedere lo straight-edge), fecero la loro comparsa i vari Febbre a 45° (parafrasando il libro poi film ‘Febbre a 90°’ e volendo significare che la mia passione per il mondo del calcio non è così maniacale come quella di Nick Hornby, lo scrittore tifoso dell’Arsenal autore di quelle bellissime pagine) in cui raccontavo con dovizia di particolari il mio percorso nel mondo del calcio (da quello guardato a quello giocato da me, dal mio passato di curvaiolo interista a quello da ultrà da bar dello sport), Colico’s hooligans are here, shag your women, drink your beer! (che narrava le gesta dei Total Chaos, il gruppo ultrà che seguiva il Colico nel ’90 e di cui feci brevemente parte, oltre ad averlo ideato e fondato assieme ad altri quattro pazzi), If you’ll swear you’ll catch no fish (dal titolo uguale a quello di un album degli hardcorers canadesi SNFU) in cui parlavo del mio passato da pescatore lacustre e The Derby (titolo preso a prestito dal pezzo dei milanesi/milanisti Bulldozer sul derby della madonnina) che era la cronaca di un Lecco-Como 1-0 visto dalla curva del Lecco. Un articolo intitolato provocatoriamente Nazi & Proud (che era il titolo di un pezzo, leggermente ambiguo in effetti, dei death-thrashers catanesi Schizo) narrava di alcune esperienze durante la mia attività come “boss” dell’etichetta La Fiera del Bestiame, fra cui appunto quella con una ragazza belga dalla mentalità ristretta stile caffè espresso alto mezzo dito in tazzina minuscola che via lettera, fra le altre cose (che non citerò per non dilungarmi ulteriormente), criticò il fatto che la mia etichetta distribuisse una compilation di singoli Punk ’77 britannici fra cui il primissimo 7” degli Skrewdriver (band che anni dopo virò decisamente a destra, ma che al tempo di quel singolo era assolutamente apolitica, fra l’altro), cosa che ovviamente faceva sì che il sottoscritto fosse senza alcuna ombra di dubbio nazista o alla meglio simpatizzante di destra… Ricordo che inizialmente pensai di risponderle iniziando col parafrasare il compianto grandissimo Mario Brega (‘fascio ammè??? A’ zoccolè, io non so’ anarco-socialista così, so’ anarco-socialista così!!!”, solo che a tradurlo in inglese suonava orribile e poi non potevo nemmeno fare il gesto dei pugni chiusi, se non disegnandoli e non mi pareva il caso), poi comunque le scrissi spiegandole di ‘sta cassetta, del fatto che l’avesse compilata un punk anarchico italiano (il lucano Papo Russo) e sottolineando che ovviamente mai avrei distribuito materiale di destra o intollerante in genere (vedasi certe bands e pubblicazioni del giro vegan-hardline); naturalmente mi divertii a scriverle che fra i miei ascolti figuravano decine e decine di bands nazi-oi! e white power rock (seguiva lista chilometrica di nomi messa apposta, anche di gruppi che conoscevo solo di nome!), giusto per apparire politicamente scorretto ai suoi occhioni dogmatic-hardcore, aggiungendo una serie di domande, sollecitazioni e piccole provocazioni (anche in riferimento alle sue altre critiche), e suppongo mandandola in confusione dato che non mi rispose mai più! ;-) Tre pagine erano in stile quattro stagioni, non nel senso della pizza (ah ah! …), ma in quello delle stagioni vere e proprie dell’annata 99/00 vissuta dal sottoscritto (una sezione al limite dell’emo, ahimè! Infatti era sottotitolata ‘stati d’animo, riflessioni, amare constatazioni’). Il Marco scrisse meno del solito per questo numero, alla fine di suo, oltre a svariate recensioni e reports di concerti, rimangono la “lettera d’addio” a Nessuno Schema e la column Avanto (termine finlandese che indica il buco nel ghiaccio dal quale immergersi nell’acqua gelida all’uscita della sauna…roba da infarto per quel che mi riguarda!), decisamente emozionale e riferita alla sua situazione familiare-lavorativa-esistenziale del periodo. Le interviste. Sebbene avessi “già promesso di non farne più” (citazione di una nota oi! band veneta di destra in omaggio alla mia amica belga di cui sopra!) ne pubblicammo ben quattro! Una era a Terry Sadler (l’ex bassista dei canadesi Slaughter, band anni ottanta di thrash-death metal ignorantissimo e in quanto tale fra le mie preferite di sempre), condotta via mail da me e dal tosco-polacco Borys Catelani che aveva scovato l’indirizzo e-mail del nostro eroe. Il quale si rivelò (per via scritta, chiaro) una persona decisamente a posto e alla mano e addirittura inserì il mio nome e quello di Borys negli scarnissimi credits della ristampa in digipack del loro album storico (“Strappado”, uscito originariamente nell’87): questa è a tutt’oggi una cosa di cui mi vanto con me stesso pensando a tutti quei thrashers di mezzo mondo che si chiederanno ‘ma chi cazzo sarà mai questo Claudio Canclini?’ (immaginate questa frase in indonesiano, bulgaro, giapponese, come faccio io). Un’altra era a Riccardo Ferri, l’ex difensore di Inter e nazionale italiana, intervistato a Chiavenna (dove era in ritiro con una squadra giovanile dell’Inter che allenava all’epoca) da me e dal giornalista-terrorista Lanzo (uno dei primi due cantanti dei Gradinata Nord, all’epoca cronista della pagina locale de ‘Il Giorno’) che organizzò la cosa. In pieno stile società-Inter intervistammo Ricky prendendo direttamente accordi con lui, gli chiedemmo di tutto (anche commenti un po’ scomodi su ex allenatori o giocatori interisti che rilasciò senza problemi) e lui parlò a ruota libera, ovviamente senza addetti-stampa presenti, eravamo solo noi tre in uno stanzino dello spogliatoio del campo di calcio della Chiavennese. Gli dicemmo che l’intervista sarebbe finita su un periodico locale e lui ci disse di farne quello che volevamo, non c’era problema: già allora all’Inter erano maestri nel controllare la comunicazione coi media, eh? ;-) La terza era a Pat Ranieri, il leader della death metal band floridiana Hellwitch; inizialmente l’avevo effettuata per “Bestial Devotion”, la fanzine death/black del nostro amico piemontese Franco (vedi molte righe più sopra). Detta ‘zine però chiuse i battenti prima del terzo numero (quello in cui sarebbe dovuto apparire il mio contributo), quindi per non buttare via quest’intervista decisi di tradurla in italiano (“Bestial..” usciva in inglese) e di pubblicarla sulla mia fanza. Pat era un mio corrispondente da anni e gli Hellwitch erano stati (si parla di fine 80’s/primi 90’s) un grandissimo gruppo forse un po’ troppo sottovalutato (anche perché di difficile assimilazione), quindi fui ben felice di dare un po’ di esposizione al mio socio yankee (ma di lontane origini bresciane), persona (sempre per iscritto, ovvio) molto simpatica e alla mano. Non lo sento da secoli ormai, ma ho visto che gli Hellwitch si sono riformati qualche anno fa, spero che stavolta raccolgano il riconoscimento che meritano. Infine c’era una nuova intervista alle Figa De Ferr. Questa era apparsa un paio d’anni prima su “E.P.”, fanzine forlivese redatta dal Camorani (meglio noto come il Morone), ovviamente alle sue domande avevamo risposto io e il Marco e altrettanto ovviamente il Morone sapeva della non-esistenza della band e durante una mia trasferta a Forlì avevamo deciso di perpetuare la “the great riot-grrrls swindle”. Zeppa di volgarità inenarrabili ma di gran classe ;-), l’intervista fra le altre cose citava personaggi della scena hardcore italiana ponendo l’accento sui loro presunti feticismi sessuali. Dopo la doppia apparizione sulle due fanze (decidemmo di riproporla qui, dato che “E.P.” era uscita in poche copie), scoppiò per un breve periodo la Figa De Ferr Mania: amici in giro per l’Italia, ma anche gente a noi estranea (che comunque sapeva della “truffa”) produsse le spillette col logo della band (io ne ho una), pare gli accendini sempre col logo (se esistono, mandatemene uno! Pago, of course) e comparvero svariate locandine di concerti, anche di nomi conosciuti, nelle quali veniva aggiunto il nome delle FDF indicate come ‘Valtellina riot-grrrls massacre’ (concerto di Firenze dei Frontiera, gli ex Kina) o senza definizioni a corredo (concerto milanese dei tedeschi Terrorgruppe). Stavolta a fine intervista mettemmo un indirizzo e-mail, a cui però scrissero in pochi, cose normalissime fra l’altro (richieste di demo, ecc.), dato che ormai lo scherzo era stato svelato, e la mail presto venne dimenticata e mai più riattivata. Clamorosa presenza poi della terza puntata di NS Relics, stavolta si parlava dei prime-movers della scena hardcore-thrash locale, i Carrions N.N. raccontati dalla penna del buon Ugo Scarsi con qualche intervento del sottoscritto qua e là. Prima apparizione della rubrica Buried by time and dust (titolo preso dal pezzo dei Mayhem, claro!), dedicata ad alcuni dischi del passato, quelli appunto “sepolti dal tempo e dalla polvere”. Ventidue pagine erano dedicate alle recensioni, sedici ai reports di vari concerti (un po’ sullo stile di quelli che troverete in questo numero) redatti sia da noi due, sia da alcuni collaboratori (fra i recensori i consueti Alex, Botka e Diego, più le prime apparizioni nei reports del Rocco, mio socio nell’etichetta distribuzione La Fiera dell’Odio, nata un paio d’anni prima dalla fusione fra la mia Fiera del Bestiame e la sua Odio Alpino). Il Valentini contribuì come al solito con un’ottima column e il mio corrispondente slovacco Vlado Kopcaj mandò un interessante report sui movimenti anarchici nel suo paese che venne pubblicato dopo laboriosa traduzione in italiano (dall’inglese eh! non dallo slovacco!) ad opera del sottoscritto. Alla fine furono 120 pagine in A5 con copertina su carta arancione. Niente prezzo scritto, perché eravamo proprio nel momento del cambio da lira a euro e volevamo capire quanto e come ci avrebbero fatto pagare nella solita copisteria. Alla fine mi pare che le vendessimo a 2,00 euro cad., ma non ne sono sicurissimo, come non lo sono sul numero di copie stampate: 500 o 600? Boh? Fatto sta che si uscì nell’aprile del 2002 e che, sfruttando un momento di rinnovata fama per questa fanza (aiutata anche dai vari concerti in giro per l’Italia che facevo coi Gradinata Nord, all’epoca attivi da un paio d’annetti), venne esaurito in breve tempo, grazie anche a prenotazioni sostanziose (20/30 copie) da parte di alcuni centri sociali autogestiti e negozi di dischi. In copertina (fronte e retro ideate entrambe dal Marco) campeggiava una foto di Bin Laden con in mano una copia di ‘Nessuno Schema’ # 7 e il fumetto “el nümer sett l’era püssée bel! (trad. – il numero sette era più bello!), sul retro una foto corredata da un fumetto estremamente volgare (anche per il sottoscritto e chi mi conosce capirà quanto volgare potesse essere ;-)!) che non riporterò. Sotto comunque feci aggiungere il logo della succitata La Fiera dell’Odio con la didascalia ‘Bassa Valtellina Extreme Hardcore’. La grafica del numero venne curata come sempre dal Marco, ma con un sostanziosissimo contributo della sua attuale moglie, la Sari (difatti è il numero con la grafica migliore, dopo quello che avete in mano si spera ;-) !), anche se le vere donne di Nessuno Schema resteranno per sempre quelle che (fra l’altro su imbeccata di una delle due in questione) chiamavamo il Duo della Menopausa: la sciùra Gianna (mamma del Marco) e la sciùra Adriana (nonna materna del sottoscritto), le due NS-Ladies per antonomasia! Mia nonna (purtroppo defunta nell’aprile del 2009) si occupava dell’ufficio spedizioni (leggasi portare i pacchi in posta) e del centralino (rispondere al telefono e filtrare le chiamate in epoca pre-internet e pre-cellulari), con qualche servizio-albergo in occasione di visite di colleghi fanzinari (o componenti di bands) italici. La mamma del Marco si occupava del catering in redazione, della cucina (sempre nelle occasioni delle visite di cui sopra) e del telefono della sede centrale (cioè la casa del Marco). Entrambe sono state a loro modo socie di minoranza vista la partecipazione economica alla vita della fanza! A loro vanno i miei ringraziamenti e queste poche righe con cui le tributo (ne avrebbero meritate molte di più). E siamo giunti al termine di questa storia. Dal 2002 ad oggi quello che ho fatto è stato, come già detto nell’intro, scrivere tutto quello che trovate nel tomo che state tenendo in mano. E ogni anno mi dicevo (e dicevo in giro!) che massimo l’anno successivo sarebbe uscito il # 10. Beh, dai e dai, alla fine eccolo qua!
Nel corso di quei dieci anni trascorsi fra il # 0 e il # 9, tolti me e il Marco, hanno scritto e/o fornito contributi per “Nessuno Schema” le seguenti persone (l’ordine è quello cronologico e spero di non aver tralasciato nessuno/a!):
In zona:
Alessandro “Alex” Rovedatti, Fabio “Bonello” Bonelli, Gianluca “Rome” Romegialli, Giacomo “Botka” Bottà, Marco “Zorro” Vaninetti, Olaf Brenna, Barbara Guglielmana, Ugo Scarsi, Mattia “Bassman” Bottà, Giacomo “Vecio” Bertolini, Davide “Bell” Belletti, Diego Platti, Eleonora De Simoni, Marco “Lanzo” Lanzini, Rocco Del Nero.
E da fuori:
Franco Tivano, Mariano Fontaine, Eugenio “Gege” Maggi, Stefano Ardoino, Enrico Saba, Andrea “Dr. Rock” Valentini, Pino Di Lucchio, Max Spacca, Stefano “Mago Trippone” Ballini, Marco Balestrino, Giuseppe Scalise, Francesca Ridolfini, Christian Cambiaghi, Leonardo Tomei, Davide Bregola, Marco Ferrarese, Riccardo “Hertzie Prophet” Fossati, Gianpaolo Ducly, Mauro Flora, Alberto Mignetti, David Cortese, Zdenek “Zeman” Nevelik, Max Sandal, Borys Catelani, Michele “Morone” Camorani, Vlado “Kopi” Kopcaj.
Hanno inoltre collaborato in varie maniere le seguenti:
Adriana Scotti, Gianna Castellini, Mauro “Mc Laren” Sgheiz, Cesare “Mr. P” Vergottini, Matteo “Teo” Ruffoni, Maurizio “Cotta” Cottarelli, Alberto “Zonca” Ronconi, Antonio La Montagna, Lella Vagni, Roberto Barri, Alberto Vinci, Sari “Mistress of Snow” Lihavainen.